Oggi Montone si riposa. Siamo Nyaung Shwe, principale città del lago Inle, dove siamo arrivati l’altroieri dopo tre giorni di trekking da Kalaw: 65 chilometri tra montagne e villaggi, guidati da Didì – una specie di orsetto della Duracell in salsa birmana, che marciava come un treno e alle 6:30 del mattino ci svegliava al suono di Loe loe, “Andiamo” – e accompagnati da altre sei avventurieri. Bello, bellissimo, così tanto che anche i ragni giganti nella “toilette” (e la mettiamo tra virgolette perché se le merita tutte) passavano in secondo piano.
Il lago in sé, poi, è la ricompensa per tutte le fatiche. Lo si esplora in barca – una piroga a motore che fa così tanto casino che dopo un po’ hai le orecchie ovattate e non senti nemmeno più i tuoi pensieri – toccando i villaggi dei pescatori, i mercati, le manifatture di argento, ombrelli, sigari e quant’altro. Fino a cinque anni fa, ci raccontava Didì, in paese c’era giusto una manciata di alberghetti, oggi i turisti stanno conquistando ogni spazio libero, per loro è stato messo in piedi questo teatrino di visite e negozietti. Ma pazienza, il paesaggio è talmente straordinario che le altre persone tendono a sparire. Restano i pescatori in piedi sulle loro barchette, il lungo remo spinto con la gamba in un esercizio di equilibrio senza pari, gli orti di pomodori galleggianti, le capanne sull’acqua dalle quali ogni tanto spunta un bambino a fare ciao con la manina.
I nostri momenti di autenticità, comunque, ce li siamo rubati anche qui. Con un giro al mercato dove non arrivano i turisti, a comprare banane rosse e un longyi per la grafomane, o una serata alla festa di paese, a mangiare alle bancarelle e ascoltare musica live, circondati da ragazzini scatenati, adolescenti timide e un intero esercito di lacustri in pigiama di flanella o tutone di pile (sì, giuro: quella cosa che Bridget Jones si mette per andare a dormire, qui si indossa contro i rigori dell’inverno).
Stasera ci aspetta un piatto di pasta fatto in casa (da una birmana doc, qui), domani un bus per Loikaw, dove, dicono, gli stranieri arrivano sparuti. Sarà vero?