Questo non è un paese per vecchi. Noi ci andiamo lo stesso, però, con la scusa che nei dintorni la natura ha fama di essere favolosa (e in effetti lo è, come vedremo dall’alto di un punto panoramico faticosamente conquistato). In realtà l’ingegnere vuole fare tubing, la discesa sul fiume a bordo di ciambelloni che altro non sono che copertoni di trattore, sognando di passare da un trampolino a una zipline con un’orda di ragazzine tettone, discinte e ubriache. Peccato che nell’ultima settimana il Laos sia stato investito da un’anomala ondata di gelo, con il risultato che a mettere le chiappe a mollo, oltre a noi, c’è solo uno sparuto gruppo di scappati di casa, troppo intirizziti persino per ammazzarsi di birra.
Fluttuiamo dunque nell’acqua per un paio d’ore, la corrente talmente debole che a tratti ci tocca remare, l’ingegnere deluso per l’assenza di adrenalina (e tette), la grafomane già in rigor mortis per il gelo. Il momento più eccitante del pomeriggio è la partita a pallavolo con un gruppo di olandesi così chiassosi che vorremmo picchiarli con un bastone. Né va meglio a sera, quando l’unico locale animato è monopolio di coreani appena maggiorenni che si dimenano sul cubo, facendo sentire la grafomane una vecchia zia.
Per fortuna a Vang Vieng i turisti non sono gli unici a volersi divertire. Riesce meglio ai hmong (una delle popolazioni presenti in Laos), che proprio in questi giorni celebrano il loro capodanno. Mentre vaghiamo in sella a Milagros Heineken (la nostra nuova moto, battezzata così perché se ci porta a destinazione è un miracolo, altrimenti ci faremo una birra, tanto più che il catorcio assomiglia a una lattina del noto brand) capitiamo a una delle loro feste, tripudio di costumi tradizionali e cappellini da fare invidia alla regina Elisabetta. I bambini vanno in giro armati di fucili ad aria compressa, gli uomini vincono da bere giocando a freccette, i giovani si corteggiano lanciandosi una palla da tennis (qui si fa così, altro che Tinder). Adrenalina pura. Alla faccia del tubing.
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