Si fa presto a dire mare. Per arrivarci da Loikaw noi ci mettiamo due autobus, due taxi e infinite soste all’autogrill birmano, dove non si mangia la Rustichella ma, guarda un po’, badilate di riso variamente accessoriato. Ventiquattro ore e spicci in tutto, con un po’ di noia e un principio di piaghe da decubito. Ma siamo al mare, dunque chissenefrega. Ngwe Saung, la “spiaggia argentata”, è in effetti uno spiaggione bianco di un certo fascino, soprattutto da lontano, soprattutto al tramonto. Da vicino è una pista per i motorini, che i birmani guidano sulla riva facendo lo slalom tra i bagnanti. Ci adattiamo: la mattina dopo affittiamo uno scooter con qualche problema di accensione e sgommiamo tra le dune fino al vicino paesello di Chaung Thar, una specie di Riccione birmana con la sua viale Ceccarini punteggiata di bancarelle di moda mare e pesce essiccato. Se non fosse che in hotel prima delle 8 di sera vendono solo birra calda (la mettono in fresco alle 6 perché fino a quell’ora non c’è corrente) potremmo fermarci qua per sempre, o almeno per un po’. Ovviamente non lo facciamo, perché con la birra mica si scherza.