Una zuppa di noodle con pezzi di carne pescati a manciate dal congelatore è l’ultima immagine che abbiamo del Laos. Fermi a un “ristorante” di frontiera, confronto al quale gli amati e rimpianti autogrill birmani sembrano dei pettinatissimi tre stelle Michelin, ci scrolliamo la pioggia di dosso e ci diciamo sconsolati che forse a questo Paese stiamo un po’ sulle palle.
Non così al Vietnam, che in frontiera ci accoglie nella persona di un ufficiale dall’aria solo apparentemente severa, che non smette di sorriderci e dirci “grazie” in italiano. Per un attimo esce persino il sole. Rincuorati, risaliamo in sella a Milagros Heineken e, sentendoci invincibili, puntiamo a un paesello a 150 chilometri dal confine. Sfrecciamo su strade stranamente frequentate, passiamo villaggi persino affollati, primo assaggio di un Vietnam che, rispetto al Laos, ha giusto quell’ottantina di milioni di persone in più. Siamo ancora convinti di raggiungere la meta prima del buio quando qualcosa cede alle spalle della grafomane: è il portapacchi di Milagros, collassato sotto il peso degli zaini.
Non ci resta che fermarci dal primo meccanico che incontriamo sulla strada. Lui ci guarda perplesso, a gesti ci fa capire che il nostro scassone è senza speranza e cerca di venderci un altro motorino, forse il suo. L’ingegnere fa lo splendido con Google Translate e si mette persino a fare dell’umorismo. Venti minuti dopo Milagros è pronta a ripartire, ma il meccanico ci invita a unirci a lui e i suoi amici – in Vietnam, impareremo presto, in ogni officina ci sono una persona che lavora e altre dieci che gli fanno compagnia – ed è la fine. In tempo zero Meccanico tira fuori la cassa di birra Happy New Year 2018 e distribuisce lattine. Quando ci porgono la seconda birra facciamo gesto di declinare, alla terza protestiamo debolmente, la quarta l’apriamo senza più opporre resistenza. Mangiamo mango spolverizzato di sale, ci facciamo gli auguri in lingue sconosciute, non capiamo nulla di quello che ci dicono ma ci ammazziamo dalle risate. Ci mancano 80 chilometri per arrivare a destinazione, ma dopo un’ora salutiamo i nostri nuovi amici, percorriamo 100 metri e ci infiliamo nel primo hotel che ci capita a tiro.
Di fronte, a cena, viviamo un déjà-vu, quando la signora del locale – ancora una volta, chiamarlo ristorante sarebbe azzardato – invece che porgerci il menu apre il freezer e ci fa scegliere tra diversi pacchettini di carne a tocchi. Rispetto alla laotiana di pranzo, però, sorride un sacco e si diverte da morire ad avere due clienti stranieri.
Chissà che cavolo ci ha dato da mangiare.