Il capodanno in Vietnam: parliamone. Niente cenone, niente lenticchie, niente spumante. In compenso, a poche centinaia di metri dall’homestay di Mai Chau, dove approdiamo dopo l’ennesimo viaggio della speranza tra saliscendi che la nostra Milagros non sembra gradire, ci imbattiamo in una specie di rave in salsa orientale, con musica a palla, falò e gruppi di ragazzini che si divertono a comando. “Gridate!”, immaginiamo che intimi loro il dj microfonato. E loro gridano. “Correte in cerchio!”, e loro via di girotondo. “Strippatevi come mai nella vita!”. Alé. Ad un certo punto temiamo per la vita dell’ovino, che potrebbe facilmente essere sacrificato in onore del nuovo anno. Comunque a mezzanotte siamo a letto, e tanti auguri di buon 2018.
Il giorno dopo andiamo verso nord. Abbiamo prenotato nell’homestay che ci ha consigliato un ragazzo in Laos e sappiamo di avere molta strada da fare. L’ingegnere sfida Google Maps. “Non possono volerci ancora quattro ore”, dichiara baldanzoso dopo la pausa pranzo. Tre minuti più tardi l’asfalto finisce e lascia il posto al greto di un fiume, dove altri motorelli fanno lo slalom tra ciottoli grandi come meloni. Meno avvezzi degli autoctoni alla gincana, arranchiamo chiedendoci quando Milagros tirerà le cuoia lasciandoci nella palta.
Contro ogni pronostico, il destriero ce la fa. Ci sentiamo ormai al sicuro mentre passiamo da un villaggetto come tanti altri, dove, a un certo punto, notiamo un gruppo di persone che festeggiano nel patio di casa. L’attimo dopo ci stanno tirando giù dalla moto e portando in mezzo alla pista da ballo. Siamo gli ospiti d’onore. Tutti ci abbracciano, ci baciano, ci tastano. Ripetono HAPPY NEW YEAR e ci fanno bere a imbuto vari bicchieri di liquore di riso, tè e acqua. Soprattutto liquore, come fosse acqua. A turno arrivano per cacciarci qualcosa in bocca: riso, tocchi di carne, boli edibili e non, qualche oggetto non meglio identificato. è il delirio. Fedele alla sua vocazione documentaristica, l’ingegnere estrae il cellulare e gira un video per i posteri, poi correi in bagno a svuotare le guance piene di cibo masticato.
Dura mezz’ora, un’ora, forse di più. Gli unici sobri sono i bambini, che assistono con occhio pietoso al degenero dei genitori. “Quello è mio padre, quello il mio insegnante”, indica una ragazzina alla grafomane. Ah, fortunella!
Risaliamo in sella che è già buio. Cantiamo a squarciagola mentre, incuranti delle buche, lanciamo Milagros a folle corsa (circa 20 km/h) verso la meta. Il villaggio di Le Pan Tan, non troppo distante da Mu Cang Chai, è immerso nella notte: ceniamo, raccontiamo l’avventura ad altri due ospiti dell’homestay, che ci ascoltano attoniti. L’ingegnere, evidentemente ancora alticcio, fa amicizia con la figlia dei proprietari. La mattina dopo ci troviamo le risaie a un passo, come regali sotto l’albero di Natale. Il tempo fa schifo, ma il Vietnam continua a essere bellissimo.