Ad Hanoi vivono 8 milioni di persone e l’impressione è che tutti vadano in giro in motorino. Contemporaneamente. Lattanti inclusi. Un delirio insomma, un grandissimo casino di scooter in fila, scooter in contromano, scooter che suonano il clacson. Scooter alla n, scooter all’infinito. In questo caos fluido e irrespirabile ci tuffiamo fin dalle prime ore del giorno, fuori casa all’alba perché ospiti per una notte di un’insegnante che inizia a lavorare alle 7:15, alé.
In due giorni esploriamo la città vecchia, passeggiamo tra i vicoli, saltiamo da un secolo all’altro, dal Tempio della Letteratura al mausoleo di Ho Chi Min. Seguiamo i binari del treno fin dove si aprono un varco tra i palazzi. Camminiamo sulle rotaie e intanto sbirciamo all’interno delle case a pian terreno. Beviamo caffè vietnamita, nero e buonissimo, in bar surreali, piccoli e invisibili dalla strada. Beviamo bia hoi, birra alla spina, al crocevia più turistico della città, mentre le ambulanti vendono mango al sale piccante e un ragazzino ci pulisce gli scarponcini da trekking per due euro (grazie amico, ci hai ridato un po’ della nostra dignità perduta). Mangiamo involtini e bun cha, specie di stufato di maiale con i noodle che pare essere un’istituzione cittadina. Ci ricongiungiamo con viaggiatori già incontrati, altri ne incontriamo di nuovi, e non solo viaggiatori. Incontriamo italici di cui diremo poi. Facciamo un tatuaggio, ché almeno è un souvenir che non occupa spazio in valigia. E poi sì, andiamo a dormire allo Sheraton con i punti fedeltà dell’ingegnere, perché siamo in giro da due mesi e ce lo meritiamo. Noi e anche Milagros, che in garage si sente come Julia Roberts in Pretty Woman quando va a fare shopping nelle boutique di lusso: guardata un po’ male, ma servita e riverita. Ogni tanto ci vuole.