Tre ore di bus a nord di Punta Arenas, Puerto Natales, base per visitare il parco nazionale di Torres del Paine, è la negazione del concetto di Sud America che abbiamo nella testa. Ordinato, pulito, caro come il fuoco, il paesello ci si presenta come un rompicapo da risolvere: come sopravvivere due giorni senza polverizzare il budget di un mese? L’ostello costa come una settimana in Asia, il noleggio auto ha prezzi che manco a Miami, persino la palta, l’avocado, che qui dovrebbe essere muy barata, quasi tirata dietro, fa rimpiangere l’Esselunga. Pure per salire (con molta fatica, perché a un certo punto imbocchiamo il sentiero sbagliato) al punto panoramico della bella Sierra Dorotea si deve mettere mano al portafogli per attraversare la proprietà privata di un vecchio sdentato e scaltro, che però indora la pillola offrendo a tutti tè, pane, burro e marmellata. Né siamo gli unici a percepire il problema: se i ristoranti sono semivuoti, i supermercati sono presi d’assalto, stile attacco atomico imminente. Alle 8 di sera sugli scaffali restano un paio di peperoni vizzi, un cespo di lattuga e tre limoni, la gente si contende gli ultimi panini e intanto dalla cassa si forma un serpentone degno della vigilia di Natale.
Così, per non ipotecare un rene, scegliamo la via del risparmio e ci pieghiamo a un tour organizzato che promette di farci vedere il meglio del parco in una sola giornata: perfetto per noi che, pur con sei mesi a disposizione, finiamo per essere sempre in affanno come il Bianconiglio. Caricati sul bus alle 8 del mattino, veniamo indottrinati dalla guida, che ci somministra informazioni a random per giustificare la sua presenza e ci minaccia con disciplina nazista (“Ci rivediamo all’1 e 15. Ho detto 15, non 30. 1 e 15!”). Ai miradores scattiamo foto uguali a quelle di tutti gli altri (dovrebbero farne una mostra, sarebbe un esperimento interessante), tentiamo di rovinare i selfie delle signorine in posa plastica, ci chiediamo se la nonna che ride come Satana sia effettivamente posseduta dal demonio. Durante i trasferimenti ci sorbiamo la cinese pazza che, dietro di noi, non smette di canticchiare la stessa irritante melodia. Sulle sponde del lago Grey, nell’ora d’aria che ci è concessa, camminiamo controventro, spazzati dalle raffiche a 80 km/h per andare a vedere gli iceberg da vicino. “Que bueno, avete sperimentato il vero clima patagonico”, si compiace la guida vedendoci tornare con gli occhi rossi e i capelli cotonati.
Nonostante tutto, il parco è bellissimo. Imponente il massiccio del Paine, sconfinati i laghi, immenso il cielo spazzato da nuvole trasformiste. I fenicotteri volano a pelo dell’acqua, i guanachi, cugini meno noti dei lama, pascolano a bordo strada, gli occhi pacifici e la bocca occupata a ruminare erba gialla come chewing gum, disturbati solo dalla cinese pazza che si avvicina troppo e li fa allontanare indignati. Nemmeno il vicino di bus che russa sommesso, la testa a ciondoloni, riesce ad ammazzare del tutto la poesia di questo luogo. Tanto più che alla fine dormiamo anche noi. A cullarci, solo il volenteroso chiacchiericcio della guida, ormai relegato a insignificante rumore di fondo.
Nicolò Giacometti
February 28, 2018 @ 00:10
State visitando uno dei parchi con più richiesta di trekking-turismo al mondo, nel periodo di più alta stagione di tutto l’anno. Febbraio, il mese di vacanza, che corresponde all’agosto italiano. Sicuramente ci speculano un po’, soprattutto in questa stagione, però questo come in tutto il mondo.. 🙂 spero che le viste mozzafiato delle Torres e i ghiacciai possano riappacificarvi un po’ con questo paese con panorami straordinari incredibili, da nord a sud. Noi, che viviamo qui da 4 anni, non finiamo mai di meravigliaci di questo stretto paese nel sud del sud del mondo. Poi se vorrete e ci sarà occasione, potremo chiacchierare dei costi della palta chilena 🙂