Non importa che tu sia leone o gazzella. Ogni giorno, se vivi a Sydney, quel che conta è che tu cominci a correre. Ce ne rendiamo conto subito, atterrati all’alba dopo un viaggio di 10 ore da Bangkok. Noi sconvolti, gli altri in modalità fitness first: canotta e pantaloncini supertecnici, scarpe da running e via, su e giù per le salite, a zig zag nei parchi, sulle spiagge sconfinate, persino tra le croci bianche di un cimitero. Sotto il sole cocente, a qualsiasi ora, loro corrono. Si fermano solo per fare addominali, flessioni e squat. La città è una palestra a cielo aperto, gli australiani sono alti, massicci e scolpiti. Chissà se lavorano? ci chiediamo stupiti, o se ricevono un sussidio per allenarsi e mantenere sana e bella la razza. Solo nei pub, rintanati dietro innumerevoli pinte di birra, si nascondono quelli con la panza da alcol, emarginati come lebbrosi.
Noi siamo in pieno shock culturale. Dopo tre mesi di Asia, non ci par vero di passeggiare nelle viette tranquille di Redfern, il quartiere dove vive la nostra amica Alice. Ospiti nel suo fighissimo appartamento, balliamo la breakdance nella doccia, più grande di alcune stanze d’albergo dove abbiamo dormito, così pulita che finalmente non rischiamo di contrarre funghi e altre malattie della pelle. Commossi, ammiriamo la lavatrice che centrifuga i nostri cenci lordi dopo novanta giorni di vagabondaggio. La grafomane placa l’astinenza aprendo scatolette di tonno anche a colazione, l’ingegnere si provoca un’ustione alla mano sinistra per scolare la carbonara più agognata della vita.
Spalmati di crema solare protezione 50, sfidiamo la canicola e maciniamo chilometri. Dal quartiere degli hipster scarpiniamo verso il centro, ci facciamo i selfie davanti all’Opera House, compriamo frutta al mercato di Chinatown, ci mischiamo ai surfisti sulla spiaggia di Bondi (Bondai). Attorno a noi, tette e addominali come se ci fosse il 3×2, chiome bionde e membra variamente baciate dal sole, dorate, biscottate o di un allarmante rosso aragosta. A Manly, altro quartiere sull’Oceano dove chi ci vive ha la sensazione di stare sempre in vacanza, ci ricongiungiamo con un vecchio amico dell’ing, da anni felicemente installato in Australia e oggi pronto a farci da guida in un edificante tour delle birrerie del posto.
Così passano cinque giorni, i nostri cinque giorni di interludio tra il primo e il secondo atto, tra l’Asia e il Sud America. Ci riposiamo, dormiamo come non facevamo da mesi, smettiamo per un attimo di essere due scappati di casa con lo zaino polveroso in spalla. La grafomane prende coscienza che da secoli non indossa un abito decente e desidera ardentemente assumere fattezze femminili almeno per qualche ora (non lo farà: l’acquisto di una gonnella è presto archiviato come superfluo). In fretta, molto in fretta, è già tempo di ripartire. Prossima tappa, Santiago del Cile: dodici ore di volo, un Oceano più in là. Un altro mondo, un altro ancora: la sensazione è quella di ricominciare da capo, di ripassare dal via, di avere davanti un’altra pagina bianca. Abbiamo appena finito la prima fetta di torta e già ce ne mettono nel piatto un’altra, altrettanto grande e tutta diversa. Sazi noi? Neanche per sogno. Pronti a un altro banchetto, divoreremo anche questa, assaporando ogni boccone, fino all’ultima briciola.