Bolivia/2 – Salar de Uyuni

Siamo a marzo, ma è come la mattina di Natale. Ci svegliamo alle 5 e non vediamo l’ora di aprire i regali. Ci svegliamo alle 5 e ci prepariamo a raggiungere la tappa più attesa del nostro viaggio: il salar de Uyuni, 3.650 metri di quota, la distesa salata più grande del mondo, capace di trasformarsi, in periodo di piogge, in un immenso specchio che riflette le nuvole e tutto il resto. Un luogo mitico per noi: l’ing lo sogna da anni, da quando ha visto le foto di due motociclisti giramondo; la grafomane ce l’ha fisso come desktop del computer, in quell’ufficio dove non ha voglia di tornare (ma non divaghiamo).

Il timore di rimanere delusi è forte – l’autista ci conferma che, a causa della troppa acqua, non potremo attraversare il deserto di sale, ma solo entrare in alcuni punti – ma svanisce non appena scendiamo dalla jeep e ci troviamo con i piedi in mezzo al cielo. L’orizzonte non esiste, non c’è più distinzione tra sopra e sotto, solo bianco e azzurro a perdita d’occhio, luce accecante e un mare senz’onde dove i fuoristrada, in lontananza, galleggiano senza far rumore.

Non ci sono parole per descrivere il salar e la sua magia. E infatti la nostra proprietà di linguaggio si azzera, il nostro vocabolario si riduce a una serie di esclamazioni poco oxfordiane per esprimere meraviglia e a una manciata di suoni disarticolati. “Siamo al salar!”, ripete circa venti volta la grafomane all’ingegnere, casomai lui non se ne fosse accorto.

La gita finisce all’ora di pranzo. Noi potremmo prendere un bus e arrivare a Tupiza prima di notte, ma no, non se ne parla nemmeno. Con la complicità dei nostri nuovi amici di Hong Kong e di uno chauffeur con la vocazione da regista, poche ore dopo siamo di nuovo al salar ad aspettare il tramonto. E – inutile cercare di descriverlo – è semplicemente la cosa più straordinaria che ci sia mai capitato di vedere nella vita.