Casa di Nicolò e Paola, a Concepcion, è in un bel quartiere residenziale a un quarto d’ora dal mare, di quelli costruiti dopo il terremoto del 2010 che ha raso al suolo la città. “Qui le scosse si sentono spesso, dopo un po’ ci fai l’abitudine. È così normale che tante volte i giornali non ne parlano nemmeno. La gente ha sempre uno zaino pronto in caso di emergenza”, ci raccontano con sorprendente tranquillità mentre mangiamo il primo piatto di pasta degno di questo nome degli ultimi mesi. A prepararlo è stato Nico, che, da quando ha lasciato Milano, della sua passione per i fornelli ha fatto una professione. “In Italia ho fatto un po’ di tutto, sono stato a lungo istruttore di nuoto. Ho cominciato a lavorare in un ristorante quando ci siamo trasferiti a Poitiers, in Francia: ora organizzo corsi di cucina tradizionale italiana – a domicilio, nei locali o a casa nostra, a Conce o dove mi chiamano. Un modo come un altro per far conoscere e apprezzare la nostra cultura”. Paola, invece, è il classico cervello in fuga, pronta a far la valigia per inseguire le migliori opportunità di carriera: ricercatrice universitaria in matematica, è lei a dettare gli spostamenti della famiglia, che presto traslocherà ancora. Peccato che, anche se gli scatoloni sono già pronti, la destinazione sia ancora incerta, in ballottaggio tra le città cilene di Temuco e Antofagasta. “Ma scommettiamo sulla prima, quindi la settimana prossima andiamo a Temuco per far cominciare la scuola a Marta”. La bimba, bionda e boccoluta come il fratellino di due anni, parla spagnolo meglio dei genitori. “Lei e Filippo sono cilenissimi”, conferma Paola, mentre i due accolgono l’apparizione di Montone con un coro entusiasta di “oveja, oveja!”. “Le abbiamo soltanto dovuto insegnare a spiegare alle maestre, all’asilo, che lei ha un solo cognome, contrariamente a quanto si usa qui”. Speriamo che, almeno in materia di cibo, i piccoli Giacometti crescano italiani. Se no chi lo sente papà, vero purista della cucina! “Non scendo a compromessi: le ricette non si cambiano per venire incontro ai gusti degli stranieri”, afferma. E infatti ai corsi spesso propone i ravioli zucca e amaretti, sorprendenti per i cileni. “Ma la difficoltà maggiore è trasmettere l’infinita varietà della nostra cucina: abituati agli stessi piatti da nord a sud, faticano a comprendere che tra le ricette liguri e quelle lombarde, pur a una distanza irrisoria, c’è un abisso”. Ancora più arduo, se possibile, far capire alle nonne italiane che non serve mandare i pennarelli a Marta e Filippo. “Il grana! Devono mandarci il grana!”, esclama Nico in un moto di (finta?) disperazione. “Da quando in Italia ha aperto Tiger siamo rovinati”, accusa ridendo. Eppure, nonostante il gap culturale – “Noi buttiamo la pasta, loro accendono la griglia”, riassumono lui e Paola – l’amore per il Cile emerge forte dalle loro parole, dai loro racconti. “Abbiamo viaggiato tanto ma non abbiamo ancora finito di scoprirlo”, dicono. E poi cominciano a snocciolare una serie di consigli per il nostro itinerario, che a seguirli tutti dovremmo rimanere nel Paese altri sei mesi almeno. Il che, tutto sommato, non sarebbe male. Anche se il grana, qui, si fa proprio fatica a trovarlo…
La buona forchetta, l’attività di Nico, è su Facebook e Instagram (Forchetta.Conce).