Case colorate, murales ovunque, stradine che salgono e scendono all’infinito, su e giù per 45 colli, due dei quali – il Cerro Alegre e il cerro Conception – l’Unesco ha eletto patrimonio dell’umanità. Questa è Valparaiso, Valpo per gli amici: una bellissima cartolina inondata di sole dove per un paio di giorni ci tonifichiamo i glutei e scassiamo le ginocchia, scattando foto ogni tre passi, entrando in tutte le boutique artigianali e sentendoci un po’ a casa, ché in quattro mesi un posto così hipster come la nostra Milano-Isola l’avevamo trovato solo a Sydney.
Qui di seguito un elenco randomico delle cose che ricorderemo:
- I murales, of course. No murales, no party. Sono tanti, bellissimi, vere opere d’arte che parlano della città, del Cile, della vita, persino di Donald Trump e della rivolta di Valpo contro il McDonald’s.
- Sì, perché a Valpo il Mac l’hanno fatto chiudere a colpi di pietre, due giorni dopo l’apertura. In compenso in centro c’è Starbucks, perché la pipì gratis bisogna pur farla da qualche parte.
- I cani. Se possibile, sono tanti quanti i murales. Girano per strada giorno e notte, liberi, pacifici e grassi come scrofe, perché la gente di Valpo li ama e se ne prende cura. JuanJo, nostra guida nel free walking tour più divertente di sempre, ci spiega che la notte, quando si torna a casa ubriachi dopo la fiesta, basta chiamarne a raccolta uno, due o più (a seconda del tasso alcolemico). Impeccabili bodyguard, ti scorteranno a destinazione, aspettando poi sulla soglia una piccola ricompensa di cibo e acqua.
- I cani/2. Gli unici domestici (sfigati) sono gli yorkshire della signora che ci affitta la camera. Non li vediamo, ma li sentiamo latrare attraverso la finestra del bagno, sinfonia isterica delle nostre docce mattutine.
- Il pisco sour. Sorseggiato su una terrazza con vista panoramica, è ancora più buono. E chissenefrega se l’hanno inventato i cileni o i peruviani.
- La subida Ecuador, quartiere degli universitari dove finiamo a bere qualcosa con alcuni ragazzi del posto. I quali ci introducono al concetto di terremoto, inteso non solo come sisma (“In 23 anni ne ho visti sei di magnitudine importante, gli altri non li ho contati”, ci racconta uno di loro con nonchalance) ma anche come beverone alcolico nazionale, a base di vino bianco, succo d’ananas e gelato. Una schifezza ipercalorica che manco un panettone intero, che deve il suo nome alla difficoltà di reggersi in piedi inevitabile dopo un paio di bicchieri.
- Le empanadas. Sono ovunque, come i murales e i cani. Ce ne sono così tante, di ogni forma e sapore, che finisci per mangiarle anche quando non ti vanno. L’unica via di scampo è il digiuno quaresimale.
- I traslochi. Nelle vie del centro non c’è accesso per le auto, quindi – ci spiega JuanJo ricordando quella volta che è morto trasportando tazzine – per trasferire mobili e suppellettili da una casa all’altra si usano gli amici come facchini. Se sopravvivono, vengono ripagati in alcol. Proveremo anche noi con i trasportatori dell’Ikea.