Santiago, amore e odio. Amore perché è una città grigia e colorata allo stesso tempo, grigia di smog e colorata di murales, di mercati chiassosi, di venditori che per strada offrono tutto, ma proprio tutto. Fragole dolci come non le abbiamo mai assaggiate, empanadas e altri carboidrati farciti, tagliaunghie e lucchetti, mote con huesillos – una schifezza fresca a base di grano e broda dolcerrima, che i cileni portano nel cuore e le cilene sui fianchi – spiedini alla griglia, finto sushi di pollo e palta, magliette, portafogli, pelapatate. Chiedi e avrai, Santiago è un centro commerciale a cielo aperto, dove non si rischia la noia né la fame. Santiago è amore perché gli operai dormono nelle carriole a bordo strada. È amore perché anche qui incontriamo persone speciali che ci aprono le porte al loro mondo. Gabriele, stufo dell’Italia e infatuato del Venezuela, in Cile a preparare limoncello, lasagne e conserve (qui) aspettando tempi migliori, tempi per tornare alla posada in riva al mare della riserva di Morrocoy dove oggi i turisti non osano più. Angela e Valentina, amiche dei nostri vicini di casa dell’Isola, amiche appena conosciute e già pronte a darci una mano nei momenti difficili. Ecco, appunto: i momenti difficili, da cui quel filo di odio a guastare la festa. Odio perché mentre ce ne stiamo seduti a bere una birra con le ragazze, un ladro fetente, che mal gliene incolga e si reincarni in un peto, si invola non visto né percepito con lo zaino dell’ing. Dentro, la vita: passaporto, patente, carta d’identità, carte di credito, macchina fotografica, contanti, Montone. Addio volo dell’indomani per salire al deserto di Atacama, addio ultime foto scattate, addio soldi ritirati poche ore prima. Manco a dirlo, a spezzarci il cuore è soprattutto la dipartita dell’ovino, per il quale sognavamo una vecchiaia tranquilla a prender polvere nella libreria dell’Isoloft e che invece finisce così, desaparecido in Sud America, rapito da un bastardo senza gloria.
Testa bassa e morale a terra, il mattino dopo spicciamo pratiche in ambasciata, ricompriamo cose, pensiamo a un piano B. Siamo accasciati su un divanetto quando l’ing riceve un messaggio su Facebook. Colpo di scena, un tizio gli scrive che un altro tizio ha trovato i suoi documenti. “Va’ in avenida Carabineros del Chile e chiedi di Alfredo al venditore di avocado”, istruisce. Pare una caccia al tesoro, e noi obbediamo. Alfredo, che lava le macchine con la sua pettorina catarinfrangente, produce passaporto e carta d’identità del derubato, poi ci accompagna nella piazzetta dove li ha rinvenuti. È a questo punto che avviene il miracolo: su un muretto sudicio, accanto a un barbone che dorme su un materasso gettato a terra, c’è lui, il nostro ovino, la nostra pecorella smarrita. Montone è vivo! Sventrato, perché il ladro l’ha aperto convinto di trovarci chissà cosa, e lurido come mai prima d’ora, ma lì, davanti ai nostri occhi increduli e, lo ammettiamo, pure un po’ umidi di gioia. La scena è surreale: due quasi-quarantenni che gridano come pescivendoli, lui che guarda il pupazzo highlander come fosse il santo Graal, lei che si avventa su Alfredo e lo abbraccia farfugliando parole a caso in spagnolo.
Il mondo ha di nuovo un senso. L’erede al trono, salito al potere per poche ore, torna al suo posto in valigia. Facciamo il bagno al vecchio re e gli curiamo le ferite. Le nostre sono già guarite. Domani è un altro giorno, e noi siamo pronti a ripartire. Il nostro viaggio è ancora bellissimo.
Francesca
March 17, 2018 @ 08:37
Ciao Fede (in arte furbetta), sei troppo divertente! Leggiamo con Andrea le vostre avventure e muoriamo dalle risate ogni volta, siete fantastici!!!!
Lunga vita al montone e buon proseguimento!
Un abbraccio,
Francy, Andrea & Gabriele