Vedi i casi della vita. Facendo autostop per tornare a casa dalla laguna Esmeralda, veniamo caricati da un signore simpatico, che, saputo della nostra estenuante ricerca di italici, ne fa un punto d’onore di darci una mano. Mezz’ora dopo sorseggiamo succo di frutta nel salotto di Maria Pontoni, 77 anni, fino a poco tempo fa presidentessa della Sociedad italiana di Ushuaia, nonché una delle cinque persone rimaste dei primi italiani che sbarcarono in città alla fine degli anni Quaranta. Gli altri si sono trasferiti altrove, molti sono morti. “Io, invece, non mi sono mai mossa. Arrivai da Fossato di Vico, in provincia di Perugia, con mia madre e mia sorella: era il 1949, avevo 8 anni. Mio padre era partito l’anno prima a bordo della nave Genova, con 900 connazionali”, racconta. Merito di un contratto di lavoro che garantiva braccia forti alla nascente comunità di Ushuaia e, alle famiglie italiane, una casa e un salario sicuro – molto più di quello che poteva offrire loro l’Italia del dopoguerra, pazienza che si trattasse di ricominciare da capo dall’altra parte del mondo. “La traversata durò un mese”, ricorda. “La città praticamente non esisteva. Era un’ex colonia penale: ci abitavano duemila persone, oggi siamo almeno 90mila”. Il boom tra il 1978-79, quando aprirono le prime fabbriche, e il 1982. Nuove case, sempre più inerpicate su per la collina. Poi i turisti, gli alberghi, i catamarani, le crociere per l’Antartide, l’ufficio del turismo che ti timbra il passaporto con il logo di Ushuaia e, al parco nazionale, l’ufficio postale più a sud del globo, vera attrazione dove un altro italico – Carlos Delorenzo, nato nel 48 a Buenos Aires ma nipote di un emigrato siciliano – affranca cartoline dalla fine del mondo snocciolando massime filosofiche sugli argomenti più disparati, tessendo le lodi del pesto ligure e sfottendo i francesi.
Ma torniamo a Maria. Mentre Ushuaia le cresceva sotto gli occhi, lei ha vissuto la sua vita. Ha lavorato come cuoca del gobernador, si è sposata, ha avuto due figlie e cinque nipoti. Suo marito è argentino, i suoi discendenti capiscono l’italiano ma non lo parlano. Anche lei ogni tanto pronuncia le parole con forte accento sudamericano. “Per non perdere la lingua, alla Sociedad facciamo corsi con un insegnante italiano che vive qui da 15 anni. Ci sono classi per ogni livello, l’anno scorso eravamo 40 (in Argentina l’anno scolastico finisce a dicembre, ora ci sono le vacanze estive, nrd)”.
In Italia la signora è tornata per la prima volta nel 1995, dopo 46 anni. “Sono andata a trovare zii e cugini che vivono ancora a Fossato, ho rivisto vecchi amici che erano venuti a Ushuaia e poi sono tornati indietro, ho persino visitato il convento dove studiavo prima di partire”, racconta. “È stata un’emozione grandissima. Per l’anno prossimo, invece, abbiamo in programma un viaggio in Sardegna: io sono nata a Sassari ma non la ricordo, e ora là vive mio nipote, che ha preso la cittadinanza italiana e sta cercando lavoro”. Il richiamo delle origini, insomma, è ancora forte. Maria non esita a definirsi italiana, benché la sua vita si sia svolta tanto lontano dal paese d’origine. E come lei la pensano gli altri membri della numerosa comunità tricolore, che si adoperano per mantenere vivi tradizioni, usanze e folklore. In occasione di feste e celebrazioni indossano persino i costumi regionali, quelli che da noi, ormai, non si vedono quasi più. “E poi cuciniamo: ravioli, soprattutto lasagne. Ne preparo teglie su teglie, mi aiuta mio marito. Spesso le vendo: per domenica ne sforno 85 porzioni”. Fiera, ci mostra la foto della sua specialità sul telefonino. L’ingegnere comincia a sbavare, poi gli si dipinge la morte in volto. Si è ricordato che noi, da Ushuaia, ce ne andiamo sabato mattina…