Metti tre italiani a Sucre. Un metalmeccanico valdostano, un pompiere bergamasco, una pedagoga friulana. Arrivati all’avventura, rimasti per amore, reinventati per necessità. Guarda caso, tutti hanno aperto un ristorante. Guarda caso, tutti hanno ricevuto una visita del Montone.
Partiamo dall’alto. Su alla Recoleta, dove arriva solo chi non si lascia intimidire da una salita bella ripida, c’è il bar ristorante di Marco Castiglion, 55 anni, fisso in Bolivia da 21, console onorario da 5. “Mia moglie, di Sucre, l’ho conosciuta ad Aosta. Siamo rimasti in Italia per un po’, ma quando mio figlio ha compiuto sei anni ci siamo trasferiti qui. La città è tranquilla – allora lo era molto di più – si vive bene. A casa ero operaio in acciaieria, non è stato un grande sacrificio mollare tutto”, racconta, anche se poi ammette di non essersi ancora abituato alla bolivianità: “Sono inaffidabili, sempre in ritardo”, afferma. “Però ormai me ne sono fatto una ragione, non me la prendo più”. L’occasione del ristorante è arrivata dopo qualche anno passato a vendere macchinari da lavoro con un tedesco: “Qui c’era un museo”, spiega. “Serviva un bar, ho vinto il bando”. Poi il museo ha chiuso, Marco è andato avanti. Segno che i suoi piatti, rivisitati e corretti per soddisfare la clientela boliviana, funzionano (complice la vista sulla città, che, soprattutto al tramonto, fa sorvolare sulla pasta Alfredo e la panna nella carbonara). Quanto alla carriera diplomatica, si tratta soprattutto di ordinaria amministrazione: boliviani che chiedono il visto, italiani che perdono il passaporto. Meglio così, ché Marco non ci sembra una persona a caccia di adrenalina.
Né lo è Roberto Pellegris, proprietario del ristorante Monterosso. “Il nome è quello di un quartiere di Bergamo”, spiega l’ex pompiere. Peccato che nel menu non ci sia ombra di casoncelli o polenta (l’ing avrebbe apprezzato). Roberto l’Italia se l’è lasciata alle spalle proprio come il suo amico console: nel 1999 è venuto in Bolivia per fare volontariato, ha conosciuto Rosemary, si è licenziato e oggi eccolo qui, padrone del suo tempo e di un piccolo locale ricavato dal salotto di casa. Un posticino delizioso dove, ammettiamolo, si viene più per l’atmosfera casalinga che per la cucina, che di italiano ha solo il nome e poco altro. Ai fornelli infatti c’è Rosemary, e la mano boliviana si sente nei sapori (l’ing ha ancora la fiatella per la pasta al gorgonzola, piena d’aglio), si vede nella pizza che della pizza non è parente nemmeno alla lontana. “L’80% dei clienti sono del posto, gli altri stranieri”, calcola. “Pochissimi gli italiani”. Chissà perché la cosa non ci sorprende.
Va meglio al Papavero, anche se all’inizio non si direbbe. Alessandra, infatti, ci accoglie con diffidenza tutta friulana, e quando le chiediamo se le va di raccontarci la sua storia, risponde con un rifiuto imbarazzato. “Nessun problema, finiamo di bere e togliamo il disturbo”, la rassicuriamo strozzandoci di birra. Poi però lei comincia a chiacchierare. Ci presenta Alain, suo marito, e Sofia, che a cinque anni parla un italiano perfetto, buffo e forbito, e fa subito amicizia con Montone. Finisce che quella storia che non aveva voglia di raccontare ce la racconta tutta, mentre noi divoriamo la migliore pizza degli ultimi quattro mesi e mezzo, proclamando Nico, il pizzaiolo 22enne di Viterbo, nuovo eroe nazionale. “Sono arrivata 10 anni fa. Ero fidanzata, lui voleva venire a vivere qua, io l’ho seguito. Quando ci siamo lasciati avrei potuto tornare indietro. Invece sono rimasta, e ho conosciuto Alain”. E Alain, possiamo confermarlo, vale bene un trasferimento dall’altra parte del mondo. A sorpresa, scopriamo che è lui lo chef del Papavero, attento conoscitore della cucina internazionale (ha vissuto in Brasile e Italia e viaggiato a lungo), persona acculturata e interessante, persino collezionista di artigianato indigeno e non. Non stupisce che Alessandra gli abbia lasciato il timone e ora si dedichi soprattutto allo yoga, la sua passione, di cui dà lezioni in una saletta annessa al ristorante. Lo scorcio della Bolivia che ci regala questa coppia in poche ore – quello di un Paese pieno di fragilità eppure così bello che non viene voglia di lasciarlo – è, se possibile, ancora più gustoso della pizza. E noi, ancora una volta, non possiamo che essere grati di questo incontro.
Il Papavero è in calle Estudiantes 1, esq. 25 Mayo, Monterosso in calle Padilla 70, il Cafe gourmet mirador in Dalanche 1. Tutti a Sucre, of course.