Sembra ieri che siamo arrivati in Bolivia e invece sono già passati venti giorni. Venti giorni di signore belle con le bombette, pollo fritto a ogni angolo di strada, gigantografie di Evo Morales che manco Berlusconi. Sul lago Titicaca, a 3.800 metri sul livello del mare, chiudiamo in bellezza con un Paese che ci ha fatto battere il cuore, dove resteremmo più a lungo, molto più a lungo, se solo avessimo il tempo, se sull’altra sponda non ci fosse il Perù ad aspettarci.
Copacabana è un postaccio di quelli che ci piacciono tanto. Ci sono i locali turistici, claro, ma anche i baracchini di trota sul lungolago, il mercato con i polli appesi e i pedalò con le teste di cigno. Davanti alla Cattedrale della Virgen de la Candelaria non è raro assistere alla benedizione di un’auto, con la gente che asperge cofano e ruote di birra o aguardiente per poi brindare, non si sa bene se alla Madonna o alla solita Pachamama, questa Madre Terra con un debole per l’alcol. Gli scappati di casa sembrano essersi dati tutti appuntamento qui: giocolieri che giocolano per strada, argentini sin plata, senza soldi, che campeggiano sulla spiaggia, gente che pratica yoga circondata dai cani, camerieri in hangover 24 ore al giorno, che impunemente penzolano le folte chiome nel tuo pranzo. Memori dei racconti di Michele, incontrato due mesi fa in Cambogia, cerchiamo la posada superecologica della sua amica Libertad – un posto magico, poco fuori città e molto fuori dal mondo (a venti minuti di cani rognosi dalla vita). Ancora più magica, però, è la Isla del Sol, dove secondo gli Inca è nato il dio Sole e dove noi, più modestamente, ci accontentiamo di festeggiare il compleanno dell’ing. L’ascesa è faticosa, le strade percorse da asini, lama e qualche turista stremato. Gli abitanti hanno l’età del presepe, o forse soltanto il viso bruciato dal sole. Il lago, là in basso, è così blu che pare il mare della Grecia. Il silenzio profondo, rotto giusto da qualche raglio; l’alba uno spettacolo assoluto, finalmente tutto per noi (e qualche lama diretto al pascolo). Dall’altra parte, sulla sponda peruviana del lago, questa pace, questa poesia ce le scorderemo. Ci saranno isole galleggianti costruite di giunchi, simpatiche signore Uros a cantare Vamos a la playa. Ma nella nostra memoria, è deciso, il Titicaca batterà sempre bandiera boliviana.