Chi ci ha descritto Lima come brutta, sporca e priva di interesse – e l’hanno fatto in tanti nelle ultime settimane – forse non si è trovato a passeggiare per Barranco la domenica pomeriggio, quando i limeñi bene escono a prendere il gelato con la famiglia o scendono in spiaggia con la tavola da surf. Oggi tutti i negozi sono aperti – chissà se è sempre così -, le botteghe degli artigiani locali scoppiano di gente per gli Open Studios, sorta di Salone del Mobile in salsa sudamericana. Barranco è splendida e affascinante come ogni zona bohémienne che si rispetti. Hipster, diremmo dalle nostre parti, se non fosse che i peruviani non sfoggiano barbe lunghe e pantaloni alla caviglia.
Né è l’unico quartiere che sprizza benessere e bella vita. Miraflores, dove soggiorna la maggior parte dei turisti – noi compresi, ospiti dell’ennesimo hotel che ci possiamo permettere solo grazie alla raccolta punti dell’ingegnere – è un pot pourri di centri commerciali, fontane e ristoranti alla moda dove scoppiare di buon cibo – perché Lima è la capitale gourmet del Paese, la sua cucina è rinomata a livello internazionale, e guai a restare affamati per più di due ore. Terzo polo d’interesse il centro, dove però le antiche case coloniali cadono a pezzi e sono mezze soffocate dai nuovi edifici, e basta fare due passi per esaurire chiese, monumenti e musei a disposizione. Così come è sufficiente spostarsi di poco, sconfinare nel barrio chino, l’immancabile Chinatown, per trovarsi in tutt’altro scenario. Un attimo sei nella piazza principale della città, ampia e circondata di edifici lindi e puliti, quello dopo ti immergi nel caos del mercato centrale, tra la puzza di urina e la gente che si ingegna a vendere di tutto, dai rubinetti alle figurine Panini (ché quest’anno il Perù si è classificato ai Mondiali dopo 36 anni e la gente è fuori di testa per la nazionale).
Non ci vuole un genio per capire che Lima ha due facce, una che trasuda soldo e joie de vivre, l’altra poverissima e, nei quartieri peggiori dove ci guardiamo bene dall’addentrarci, assai pericolosa. La testa in alto, dove si respira aria fresca, i piedi nel fango.
Ovunque le case dei ricchi sono avvolte di filo spinato elettrificato, ovunque la polizia è in assetto antisommossa. La prima cosa che fa il tassista appena sali in auto, sempre, è bloccare la portiera. Non si sta tranquilli a Lima, non si gira di notte da soli. Se qualcuno ti urta per sbaglio, l’attimo dopo stai controllando che non ti abbia rubato il portafogli.
No, non ci vorremmo vivere mai, a Lima, tanto più che ci dicono che i suoi inverni sono lunghi, umidi e senza un raggio di sole. Finiremmo per rinchiuderci in un bar a bere pisco sour tutto il tempo, e forse il nostro fegato alla lunga ne risentirebbe. Per un paio di giorni, però, quel pisco è il più buono del mondo, e va giù che è un piacere. E a noi, in fondo, questa città piace come un aperitivo in riva all’oceano.