Guadagniamo Medellin con un viaggio lungo e sofferto, ostaggi di un autista che sui tornanti guida come se il bus l’avesse rubato. L’ing vomita peggio di Stan di South Park, la grafomane rimbalza sul sedile, un cane si lamenta rassegnato nella sua gabbietta per poi esplodere in latrati isterici alla prima fermata. Un buon inizio, insomma, ma poi le cose volgono al meglio.
Nella seconda città colombiana – ieri regno dei narcos, oggi di modernità e innovazione – ci aspetta Mario, ex poliziotto foggiano, che ci porta a cena in pizzeria e ci risolleva l’umore. Lui vive qua da tre anni con Maria, la moglie colombiana, e il figlio diciannovenne, che dell’Italia rimpiange soprattutto il tonno Rio Mare. “Ci siamo trasferiti quando sono andato in pensione”, spiega. “Si sta bene, con una piccola somma [piccola davvero, a Milano non ci compreremmo neanche un box, ndr] abbiamo potuto investire in un appartamento a Cartagena, sulla costa caraibica, che affittiamo ai turisti”. Certo il mare non è quello del Salento, né il pesce buono come sulle nostre coste, e il parmigiano tocca caricarlo a chili in valigia ogni volta che si fa un giro in Italia. Ma almeno la situazione è più tranquilla di quando Maria era una ragazzina. Suo padre, fotografo – racconta alla grafomane con una naturalezza che la lascia di stucco – è uno dei tanti desaparecidos svaniti nel nulla ai tempi più bui della guerriglia, quando il conflitto armato tra governo e dissidenti teneva in scacco il Paese e rendeva un inferno la vita di tutti i giorni. “Uno sguardo sbagliato y te mataban“, ricorda.
Oggi per evitare guai basta non dare papaya, non dare nell’occhio. “Andare in giro con l’iPhone in mano è come imboccare (di frutta matura, appunto) i ladri”, spiega Mario. Medellin, però, è avviata da un pezzo sulla via del riscatto. È vero, tutti la associano ancora al re del narcotraffico Pablo Escobar – che a un certo punto comparve al settimo posto della classifica di Forbes degli uomini più ricchi e rischiò pure di diventare sindaco della città (“Capitava che si svegliasse la mattina e decidesse di regalare un palazzo al primo che passava”, narra Maria) – nonché alla Comuna 13, che con Escobar non c’entra nulla ma comunque arrivò a detenere il primato di quartiere più pericoloso al mondo per le esplosioni di violenza che trasformavano quotidianamente le sue strade in un mattatoio.
Oggi Escobar è un fantasma e la Comuna 13, arroccata sulle pendici della montagna, meta di tour guidati per turisti curiosi, accompagnati da guide locali a conoscerne i graffiti e la scala mobile, emblema della recente rinascita, primo progetto ad aver davvero cambiato la vita degli abitanti. “Anziani e disabili non si sognavano neanche di salire per queste stradine”, spiega il nostro cicerone con il suo accento che un po’ capiamo, un po’ no. “Per la prima volta la gente si è sentita importante, valorizzata”. Così il cambiamento è partito dall’interno. “Ma non venite qui di sera”, ammonisce a scanso di equivoci.
Figurarsi. Di sera ti vien voglia di barricarti in casa anche se il tuo hotel è nella zona elegante, ché tanto sotto il portone c’è almeno uno sniffatore di colla che dorme buttato sui cartoni. E in centro, la domenica pomeriggio, tra un fumatore di crack e un barbone errante, è un attimo rimpiangere le facce sorridenti e innocue su alla Comuna. Eppure Medellin è la città dell’innovazione e della cultura, fiera della sua metropolitana – l’unica in Colombia – delle statue di Botero in piazza, delle aree verdi e dei ristoranti buoni. A noi non resta che chiederci se basta davvero chiudere gli occhi e tirare dritto, per illudersi che esista solo la metà bella della mela.