C’era una volta un paesino sfigato a due ore da Medellin, dove un giorno qualcuno decise di costruire una diga per produrre energia. Non una diga qualunque però, di quelle che se ne vedono tante in giro e non è che siano poi così belle. Guardate oggi Guatapé dall’alto e capirete cosa intendiamo: pare uno spettacolo della natura, e invece no, è tutto artificiale. Tipo Dubai, ma meno inflazionata (anche se i colombiani ne vanno matti e nei weekend la affollano come i milanesi la Liguria).
Noi pure da Guatapé ci lasciamo incantare. Il paesino è piccolo, ogni casa ha i suoi zocalos colorati – decorazioni a rilievo nella parte bassa della facciata creati a gusto di chi ci abita, con temi che spaziano dai pony alla Madonna. Per la prima volta da quando abbiamo messo piede in Colombia splende il sole. Così saliamo i 659 gradini del Peñon, un enorme monolite che domina la laguna e pare uscito da un quadro di Magritte, e quando scendiamo decidiamo di fermarci una notte in più, ché di partire non c’è fretta.
Un’ora dopo stiamo sorvolando la laguna in deltaplano, perché tra dieci giorni si torna a casa e non possiamo più farci mancare niente. C’è il sole, fa caldo, abbiamo ali d’uccello e il paesaggio è bello da togliere il fiato. Nel minifrigo della barca di appoggio ci sono due birre tutte per noi. La vita è meravigliosa, la Colombia pure. Quando, più tardi, ci imbatteremo in un concerto di artisti di strada, non avremo altro da chiedere alla giornata e alla città.
Lasciateci qui per sempre, sdraiati su una panchina colorata, un tizio che canta, due signore grasse che ballano battendo le mani, un bambino che pare Chunk dei Goonies che vuole imparare l’hula hoop. La perfezione non esiste, eppure talvolta sembra proprio di sì.