Una settimana in Spagna a inizio dicembre, quattro tappe più spicci: Barcellona e Malaga per la grafomane in solitaria, Granada e Cordoba in compagnia dell’ingegnere che sopraggiunge in medias res con Montone (ché guai a lasciarlo partire solo con lei, non sia mai che lo perda, lo maltratti, lo porti in un ristorante vegetariano). Va così:
- A Barcellona la grafomane vede vecchi amici felicemente migrati, passeggia per le vie di Gracia la domenica mattina (dimenticandosi per l’ennesima volta che a Gracia la domenica mattina è quasi tutto chiuso e rotolano le balle di fieno), gioca con l’hula hoop vista mare, mangia male, mangia bene, conosce gente che non rivedrà mai più, si diverte un sacco. In sintesi, rinnova il suo amore per questa città dove il clima è clemente e la lingua catalana oscura, la birra economica e la vita bella, soprattutto se sei in vacanza e non te ne frega niente di niente.
- A Malaga la temperatura è da primavera-estate, le giacche sono un impiccio e in riva al mare le sardine finiscono infilzate, grigliate e vendute a 2 euro lo stecco. Ospite di un couchsurfer vecchio stile, la grafomane conquista spiagge remote, tapas bar e spazi occupati pieni di murales in attesa dell’ing, che poi arriva e la porta via sul suo cavallo bianco.
- Granada è bella bellissima, un dedalo di viuzze tortuose, un saliscendi acciottolato pieno di turisti, negozi di souvenir arabeggianti e teterie da dove esce profumo di narguilé. Su e giù dall’Albayzin all’Alhambra, camminiamo, camminiamo e camminiamo, congeliamo, ci imbattiamo in localini di pregio dove i cocktail si sorseggiano seduti al pianoforte, circondati da fotografie d’antan.
- Cordoba, finalmente. Agognata per anni dalla grafomane, a lungo ignorata dall’ing, ci accoglie con un tutto esaurito dovuto alla festa della costituzione, che porta tutti gli spagnoli a spasso per la città dei patii nonostante i patii siano sfioriti. Risultato: dormiamo (a caro prezzo) sulla statale, in un albergaccio al sapor di muffa che fa molto Camionisti in trattoria, facciamo fila per la Mezquita, l’enorme moschea oggi Cattedrale dell’Immacolata concezione, fila per un morso di tortilla al Bar Santos, fila per cenare in una magnifica osteriaccia con salmorejo, sorta di gazpacho cremoso, e flamenquin, un involtino fritto dalle suggestioni falliche. Il giorno dopo ci fermiamo a Montilla alla cantina Alvear, la più antica dell’Andalusia, dove ci tuffiamo gioiosi nel Pedro Ximenez, il vino bianco tipico di queste parti. E poi niente, è già ora di tornare a casa, a Milano ci aspettano 10 gradi di meno e una fitta nebbiolina, avvolgente e piacevole come un nugolo di zanzare. Ma, ancora una volta, non ce la sentiamo proprio di lamentarci.