Riassunto delle puntate precedenti. Dopo sei mesi in giro tra sud-est asiatico e Sud America in compagnia dei suoi amici, una grafomane in aspettativa e un ingegnere dimissionario, Montone, ovino viaggiatore, è tornato a casa. Per un anno intero non si è mosso da Milano se non per gite e rapidi blitz, rispondendo con belati di dolore a chiunque l’accusasse di essere sempre in vacanza. Ora riparte per un viaggio di dignità bisettimanale. Destinazione: Kyrgyzstan, ex repubblica sovietica là in mezzo da qualche parte, tra la Cina, Kazakistan, Uzbekistan e Tajikistan. Un Paese senza mare ma con sacco di laghi e di montagne – il 90% del territorio è sopra i 1.500 metri, il 71% oltre i 2.000 – e ancor più pecore e cavalli, dove la maggioranza della popolazione è di origine nomade, con tratti fisici che ricordano quelli dei mongoli.
Eccoci, dunque. Il primo assaggio del Paese è per noi un assaggio in senso stretto. A Bishkek, la capitale, siamo ospiti di Bayish, che ha 20 anni, studia in Canada e parla inglese (a differenza di tutti gli altri). La sua famiglia è molto accogliente e ci illumina su un paio di cose che è bene sapere. Primo, finisci sempre quello che ti mettono nel piatto. Secondo, se non ti piace rifiutalo, ma sii più rapido della mamma kyrgyza che ti sta servendo a badilate, più munifica di tua nonna. Terzo, se sei vegetariano lascia perdere, ci sono tante altre destinazioni al mondo. Quindi ci sediamo a tavola e mangiamo. Zupponi di latte e grano saraceno e melanzane fritte per colazione, borsch e pizza spolverata di coriandolo a pranzo, a cena stufato e insalata, ciliegie, frutta secca e pure il gelato, perché l’hanno comprato per noi e rifiutarlo sarebbe inelegante come mettersi le dita nel naso. Tra un boccone e l’altro apprendiamo svariate verità: che il padre di Bayish è imprenditore, ex sindaco illuminato, promotore delle arti e del teatro, estimatore dei Ricchi e poveri; che possiede una cassa portatile con ruote da trolley e gli basta sparare Sabrina Salerno a tutto volume per fare del Kyrgyzstan una discoteca Anni 80; che l’ospite più importante si siede sempre nel posto più lontano dalla porta, viene servito per primo e non è mai una donna; che versarsi il tè da soli è da cafoni, perché il compito spetta al commensale più giovane; che qui ci si sposa presto e si fanno presto tanti figli, e alla domanda “Voi non ne avete?” non possiamo rispondere “Non ne vogliamo”, perché è come bestemmiare in chiesa e prendere a calci il crocifisso.
Per digerire esploriamo Bishkek e i dintorni. La città non è delle più invitanti, afosa accozzaglia di vestigia sovietiche e nuove brutture. Si salva la moschea, bella e nuova di pacca: ci piace soprattutto visitarla mentre i volontari preparano la tavola per le mille persone che, come ogni sera durante il ramadan, dopo il tramonto si raduneranno qui per l’iftar, la rottura del digiuno. Ma il momento clou di questi primi giorni si svolge nei pressi della torre di Burana, che di fatto è un minareto ed è tutto ciò che resta di una città del X secolo. Poco distante, ci imbattiamo in un gruppo di kyrgyzi che giocano a kok boru, una specie di polo dove le squadre, a cavallo, si contendono la carcassa di una capra decapitata. Che, una volta finita la partita, viene cucinata e mangiata, giacché dopo tutte quelle mazzate è frollata a meraviglia. Bon appetit!