Un capitolo a parte merita lo stop a Nookat, paesello di nessun interesse turistico dove arriviamo solo perché lì vive Zhanibek, couchsurfer che ci ospita per un paio di notti. Prima ci fermiamo a Osh, la seconda città kyrgyza, per visitare il trono di Salomone, luogo sacro sul cucuzzolo di una montagnola, e il bazaar, uno dei più grandi dell’Asia centrale.
Quando arriviamo a Nookat ha appena smesso di diluviare. Fuori dalle case la gente scopa via il fango e cerca di liberare le canaline di scolo, un fiume d’acqua scorre lungo il ciglio della strada. Un’auto è rimasta conficcata come uno stuzzicadenti in una voragine che si è aperta per la pioggia. Ma è bayran, il primo giorno dopo la fine del ramadan, da Zhanibek c’è aria di festa. Scopriamo che il nostro amico fa il fornaio: nel laboratorio adiacente alla sua abitazione e in cortile, c’è un nugolo di donne indaffarate a impastare, stendere, condire pizza kyrgyza, carica di salsa rosa, cetrioli e tocchi di carne non suina. Sette bambini tra i due e i cinque anni zompano in giro, ci circondano, cercano di capire se veniamo in pace.
Per due giorni siamo in balia di un allegro caos. Sotto lo stesso tetto vivono Zhanibek, sua moglie e i tre figli, i genitori, il fratello e la sua famiglia. I bambini, ignari di avere a che fare con la Banda di Erode, diventano presto espansivi, saltano sui nostri materassi, strippano per l’hula hoop della grafomane, usano l’ingegnere come una giostra da luna park. Montone resta barricato in valigia per non essere concupito.
Inutile dire che non c’è niente di più lontano dalla nostra vita, che mai faremmo a cambio. Ci teniamo la casa a Milano, la doccia calda con i faretti, la lavastoviglie. Dieci figli li lasciamo fare a Zhanibek, sempre che riesca a convincere sua moglie, che ha 29 anni, è incinta del quarto e a due settimane dal parto spacca la legna e prepara la cena per 14 persone. Ma gente così generosa raramente l’abbiamo incontrata. Lui trasecola quando gli diciamo quanto spendiamo di noleggio auto, ma poi insiste per offrirci il pranzo dal suo spiedinaro di fiducia. Nel giro di qualche settimana inizierà a costruire una guesthouse – “Ci sarà anche la doccia”, preannuncia fiero – ma l’idea non è quella di arricchirsi. “Voglio che gli stranieri vengano al villaggio”, ci spiega con Google translate, perché l’inglese lo mastica così così. “Voglio che i miei figli imparino le lingue e i compaesani allarghino i loro orizzonti”. Noi facciamo il tifo per lui. E anche per la doccia.