Il volo è breve e notturno. Ci addormentiamo a Malpensa e ci svegliamo sei ore dopo nel Corno d’Africa, dove ci aspettano due settimane di esplorazione su e giù per l’Etiopia. Addis Abeba ci accoglie fangosa e caotica già alle 8 del mattino – 2 ora locale, ché qui si inizia a contare alle 6 con il sorgere del sole – ma noi la lasciamo in fretta, diretti a sud con Demiss e Abrahm, le nostre guide/guidatori/bodyguard. Il programma è facile: otto giorni tra la Rift Valley e la Valle dell’Omo, crogiolo di tribù ancora legate alle tradizioni, quattro in Dancalia, la depressione a nord-est del Paese, due a Lalibela, unica tappa della rotta storica alla quale non ce la sentiamo di rinunciare. Il resto lo rimandiamo alla prossima volta: l’Etiopia è grande, ha una storia pazzesca, è considerata la culla del cristianesimo in Africa. Mai stata colonia se non per quella mezz’ora di dominio italiano ai tempi del Duce, ha mantenuto usi e costumi intatti nei secoli, ha una Chiesa ortodossa tutta sua (ma il 30 per cento della popolazione è musulmana), un calendario di tredici mesi, decine di lingue ed etnie diverse che convivono, a volte in pace, a volte no.
Ma torniamo a noi, mezzi addormentati sui sedili posteriori della nostra Nissan Patrol mentre fuori dal finestrino comincia a sfilare l’Africa. Usciti dalla città il traffico non esiste, sulle strade le uniche auto sono quelle dei faranji, i turisti bianchi. Il resto sono tuc-tuc decorati con immagini di Gesù e la Madonna, bus locali, carretti trainati dagli asini dove il guidatore si tiene rigorosamente in piedi come su un segway, e motociclette con due, tre, cinque passeggeri. Gli etiopi – che sono tanti, tantissimi, oltre 100 milioni – camminano. Vanno al mercato, tornano dal mercato, vanno al fiume, portano l’acqua in taniche gialle tutte uguali, spostano mandrie di buoi e greggi di capre.
A sera arriviamo a Dorze, sui monti Guge, dove vive l’omonima tribù, famosa per i tessuti multicolor e le capanne alte 12 metri che poco a poco rimpiccioliscono, mangiate alla base dalle termiti e dal terreno. Una signora rugosissima, con un turbante rosso che le dona da morire, ci prepara in diretta il kotcho, una specie di piadina fatta con l’enset, il falso banano, e ce la offre accompagnata da miele, salsa piccante e grappa locale. Sono le 9 del mattino ma un brindisi non si rifiuta mai.
Al parco del Nechisar giriamo in barca sul lago Chamo, infestato da coccodrilli e ippopotami dal brutto carattere, a Konso visitiamo un altro villaggio completamente diverso dal precedente. Qui al posto della vecchina panificatrice troviamo un’orda di bambini che strillano What’s your name? mentre ci inerpichiamo su per le strette, labirintiche stradine, tra i terrazzamenti riconosciuti patrimonio Unesco, i muretti in pietra e le capanne di legno. L’ingegnere sfiora il collasso per un colpo di sole, la grafomane lotta con lo stomaco in rivolta. L’Africa sta avendo la meglio sui faranji, ma ci riprenderemo presto. Forse. Speriamo.
CONSIGLI PRATICI L’auto in Etiopia Noleggiare un’auto in autonomia non è impossibile ma alquanto complicato. Sembra che sia necessario per gli stranieri farsi tradurre la patente in lingua locale, cosa che richiede qualche giorno e rischia di far perdere tempo prezioso. Più semplice affittare una 4×4 con autista, benché il costo sia piuttosto elevato (dai 130 dollari in su, a seconda del tipo di auto e se benzina e spese di vitto e alloggio del guidatore sono comprese o no). I tour operator offrono questo servizio e propongono itinerari prestabiliti per chi non ha voglia di sbattersi troppo. Noi abbiamo preferito confezionarci il nostro e affidarci a Demiss Mamo, autista indipendente, ottima guida nonché persona affidabile e di compagnia. Lo consigliamo senza riserve e siamo felici di fargli buona pubblicità. |
Nel sud del Paese le auto sono rare. In compenso abbondano le motociclette, guidate rigorosamente senza casco e generalmente sovraffollate: abbiamo visto fino a 5 persone sulla stessa sella. Il Dorze Lodge, dove abbiamo dormito prima della visita al villaggio dorze. Montone, i monti Guge, il lago sullo sfondo. I dorze si sono scelti un bello scenario dove vivere. Grafomane in contemplazione dalla terrazza panoramica del Dorze Lodge, poco distante dai villaggi dorze, sui monti Guge. Cena al Dorze Lodge: manca giusto l’injera, il pane spugnoso onnipresente nella cucina etiope. Sarà il nostro incubo per due settimane. Bimba (timida) al villaggio Dorze. Una delle tipiche capanne del villaggio dorze: costruite in bambù e alte fino a 12 metri, tendono a rimpicciolire con gli anni, mangiate dal terreno e dalle termiti. Kotcho/1: la signora dorze taglia la pianta di enset, il “finto banano”, per preparare il kotcho, una specie di piadina. Kotcho/2: seguendo le istruzioni della signora, la grafomane raschia la pianta con l’apposito attrezzo per ricavare la parte utile alla preparazione del kotcho. Kotcho/3: la signora dorze lavora la fibra dell’enset con il suo coltellaccio. Alla fine otterrà un impasto che vagamente ricorda quello della pizza. Kotcho/4: una volta stesa, la “piadina” viene chiusa in una foglia di enset e messa a cuocere sul fuoco. Dopo pochi minuti è pronta: si mangia con salsa piccante o miele. Montone e la signora panificatrice al villaggio Dorze. I dorze – 40 mila persone distribuite su 12 tribù – sono famosi tessitori: ecco alcuni dei loro coloratissimi manufatti. Dal finestrino della nostra auto: alcuni abitanti dei villaggi in marcia verso il fiume, muniti delle inconfondibili taniche di plastica arancione che si vedono ovunque. Dopo la lunga marcia, finalmente il fiume: chi lava i panni, chi si fa il bagno, chi raccoglie l’acqua da riportare al villaggio. Il lago Chamo è infestato di coccodrilli e ippopotami: un posticino tranquillo. Poco indicato per chi vuole nuotare, il Chamo è invece il paradiso dei birdwatcher, perché è pieno di uccelli di specie diverse. Il lago Chamo, nel parco del Nechisar. Pellicani al lago Chamo. Lago Chamo: mamma ippopotamo ci guarda male mentre ci avviciniamo in barca: teme per il suo piccolo. Non si preoccupi signora, a noi i bambini non piacciono. Lago Chamo: un coccodrillo punta Montone. Coccodrilli in posa plastica sulle sponde del lago Chamo. Che non è proprio il posto più indicato per fare un bagno. I konso sono agricoltori: per coltivare, hanno costruito terrazzamenti sulle pendici della montagna. La moringa è una delle verdure preferite dagli etiopi: la mangiano soprattutto il mercoledì e il venerdì, giorni di digiuno nei quali sono vietati gli alimenti di origine animale (per i cristiani ortodossi). Ragazzino al villaggio konso: sulla colonna è raffigurato un guerriero della sua etnia. In “piazza” c’è una capanna comune: al piano di sopra si accede attraverso una botola. Villaggio konso, “piazza”. Capanne ravvicinate e vicoli tortuosi caratterizzano i villaggi dei konso, dichiarati patrimonio Unesco per la loro singolarità. Noi, il nostro autista Demiss (grandissimo) e i ragazzini del villaggio konso. Panorama dal villaggio dei konso. Il mercato di Konso, affollato e caotico. Un uomo cammina tra i mucchi di merce al mercato di Konso. Niente di strano: le bancarelle non esistono, chi ha qualcosa da vendere lo espone direttamente a terra. Un ragazzino al mercato di Konso, intento a tagliare vecchi pneumatici per confezionare sandali (una pratica comunissima da queste parti).
October 10, 2019 @ 20:34
Ciao,
Grazie per condividere le foto.
Noi vorremmo andarci a dicembre.
Voi in che periodo siete andati?
Ciao
Lino (Natale)
October 10, 2019 @ 21:10
Ciao Lino,
Grazie per l’apprezzamento
Ci siamo appena stati, tornati il 7 ottobre 🙂