Quando atterriamo, di Ohrid – che si legge “Ocrid”, Ocrida in italiano – sappiamo giusto il nome e che si trova in Macedonia del nord, sulle sponde dell’omonimo lago. Anche questo, però, lo dobbiamo a Google, ché prima di prenotare il volo brancolavamo bellamente nel buio. Il viaggio, insomma, è alla “come viene viene”, e alla fine viene bene, molto meglio del previsto.
Ecco una serie di appunti randomici e considerazioni in ordine sparso:
– Diffidate di chi dipinge questa cittadina come località poco battuta, perla nascosta, meta fuori dalle solite rotte. Il fatto che gli italiani non ci vadano non significa che non ci vadano tutti gli altri. Lo dimostrano la foresta di appartamenti e stanze in affitto, i ristoranti aperti fino a tardi, le decine di casino e i tanti e ottimi servizi a disposizione: se sognate un paesino di pescatori e le vecchine sedute fuori casa, andate da un’altra parte.
– In origine Ohrid si chiamava Lychnidos, “città della luce”, e mai nome fu più azzeccato, perché la luce qui è pazzesca, il sole – che noi troviamo ancora pieno e caldo a fine ottobre, anche se poi a sera si scende a 5 gradi e si congela – incendia il paesaggio, i colori del lago, dei boschi, dei canneti sono a livelli di saturazione da filtro Instagram. L’autunno è bello da star male, uno schiaffo di gialli, rossi e ocra che toglie il fiato. Sicuramente l’estate non è da meno ma il poco affollamento di questi giorni d’ottobre è un plus da non sottovalutare.
– La cittadina, patrimonio Unesco dal 1979, è piccola ma non ci si annoia. Ci sono le viette con le case ottomane, innumerevoli chiese ortodosse (pare che in epoca medievale ce ne fossero 365), la fortezza di Samuel, il laboratorio della carta fatta a mano, i punti panoramici, le barchette sul lago. Al tramonto si sale su a Sveti Jovan Kaneo e si domina il mondo. Con un’auto (o un bus e tanta pazienza) si raggiungono la Bay of bones, ricostruzione di un villaggio neolitico su palafitte (chiuso il lunedì, mannaggia a loro), il monastero di St. Naum con i suoi bellissimi affreschi, quasi al confine con l’Albania, volendo anche Vevčani, paesello che nel 1991, per qualche anno, si autoproclamò repubblica indipendente, dove oggi si va giusto per il carnevale, per le sorgenti e per il ristorante Kutmicevica (che ovviamente noi troviamo chiuso).
– In modalità “e falli due passi”, noi li facciamo al parco nazionale Galičica: in due ore di salita e bestemmie (più due di discesa e imprecazioni), tra boschi fatati e gole rocciose, conquistiamo la cima del monte Magaro, a 2.255 metri, per goderci il vento gelido e una vista meravigliosa sui laghi Ohrid e Prespa.
– Ok i giri in barca, ma vuoi mettere 20 minuti di parapendio per abbracciare dall’alto il lago e le montagne?
– Sì, in macedonia si mangia anche: tanto e a poco prezzo. La cucina è varia e ricca di influenze dei paesi limitrofi: quintali di carne, cevapčići (salsicce di carne trita) e borek (torte salate) come in Bosnia, verdure ripiene e insalate alla greca, trota e altro pesce di lago, specialità locali come il tavče gravče (fagioli al forno con pomodori e cipolle) e quintali di peperoni, alla griglia, in salsa (l’ajvar è la più diffusa) o imbottiti di carne e riso. Una vera macedonia di sapori, insomma. A proposito: la macedonia di frutta prende il nome proprio da questa regione, in virtù della mescolanza di popoli e culture che da sempre la caratterizza.
QUALCHE INFO UTILE – Seguendo il lungolago si arriva in Albania: se avete intenzione di sconfinare, pagate il sovrapprezzo all’autonoleggio per non essere rimbalzati in frontiera. – La moneta è il dinaro macedone ma gli euro sono accettati quasi ovunque. – Alcuni blog scrivono che al parco Galičica mancano le indicazioni: in realtà noi abbiamo trovato il percorso per il monte Magaro molto ben segnalato. L’ingresso al parco costa 200 dinari (poco più di 3 euro). – Anche per il parapendio i prezzi macedoni sono abbordabili: a ottobre 2019 abbiamo pagato 75 euro a testa comprensivi dell’ingresso al parco, perché si decolla dal Galičica. La vista li vale tutti. NB: da novembre e per tutto l’inverno non si vola. |