Sì, abbiamo barato. Mentre gli altri erano impegnati nella corsa all’ultimo regalo, noi ingollavamo panettone con qualche giorno d’anticipo. Loro incartavano pacchetti, noi facevamo le valigie. Loro in coda al supermercato, noi al gate di Malpensa la mattina del 24. Destinazione Marocco, dove Natale non c’è ma ci sono 30 gradi e il sole: che per qualcuno sarà pure un abominio ma per noi no, a noi va bene anche così, grazie, al posto della crema al mascarpone quest’anno spalmiamo quella solare, alé.
Atterriamo ad Agadir e ci togliamo il maglione, partiamo lungo la costa e infiliamo gli occhiali scuri. La prima tappa è un baretto tra gli scogli con i tavolini incollati di salsedine, dove a tratti le onde si portano via anche quello che c’è nei piatti. Aspettiamo due ore per un’omelette e una tagine, osserviamo il cuoco-pescatore-surfista pelare le carote con i gesti lenti di una spogliarellista (o di un impiegato delle poste), concludiamo che chissenefrega, tanto siamo in vacanza. A Essaouira arriviamo che è buio. Le stade della Medina sono affollate, i negozi aperti, i carretti vendono fragole e grossi pesci, pane, mandarini, mazzi di menta e di coriandolo. I turisti al ristorante, al porto i pescatori che si attardano a raccogliere le reti, ovunque gabbiani enormi e impertinenti, pronti ad avventarsi su quel che resta (di commestibile) del giorno. Noi nell’unico bar frequentato da locali che vende birra e vino: un postaccio pieno di fumo e vuoto di donne, dove non facciamo in tempo a sederci che già siamo sotto sequestro dello Splendido, lo Sdentato e Mustafa, un trio così improbabile che neanche allo Zelig.
Il giorno dopo è Natale e noi ci regaliamo il privilegio di scordarcene, troppo presi dalla colazione sui tetti, dal sole, dall’oceano, dalla città bianca e bellissima, da due ore di hammam e da una cena sociale con gente mediamente asociale, tra cui un vegano triste, un austriaco convinto che San Diego e Santiago siano lo stesso luogo, un biondo con il giubbotto antiproiettile (giuro) e un’italiana simpatica ma con la voce di mille sveglie alle 6 del mattino. A Santo Stefano ce ne andiamo. Abbiamo visto quello che volevamo vedere, fatto quello che volevamo fare, eppure un giorno o due in più resteremmo, forse anche tre, a scappare dai gabbiani e mangiar fragole grandi come pugni. Ma Marrakech ci aspetta per l’ora del tè, e non è educato farla attendere.
CONSIGLI PRATICI Il miglior (o peggior) bar di Essaouira Il postaccio citato e rimasto nei nostri cuori è questo. Dovrebbe anche avere un nome, ma “unknown but cheap” fa sicuramente più scena |