Oman/1 – Muscat e i monti Hajar
Durante l’ansia per il Coronavirus a Milano, siamo partiti per l’Oman, visitando la sontuosa Moschea Qaboos e esplorando monti e villaggi tradizionali con la 4×4. L’unica mancanza? La birra fresca.
Durante l’ansia per il Coronavirus a Milano, siamo partiti per l’Oman, visitando la sontuosa Moschea Qaboos e esplorando monti e villaggi tradizionali con la 4×4. L’unica mancanza? La birra fresca.
Un viaggio è sempre una buona idea, ma mai come in questo momento. Giusto un paio di giorni prima che a Milano scoppi la psicosi da Coronavirus, noi, con tempismo perfetto e puramente casuale, partiamo per l’Oman con Montone e i nostri amici Ponie e Ale. Così, mentre i nostri concittadini perdono il senno, noi troviamo un Paese tutto beige e bianco: beige di sabbia e mattoni di fango, di forti costruiti in ogni dove (ce ne sono oltre 500), bianco – soprattutto bianco – di case bianche, di auto dello stesso colore – linde e pulite anche nel deserto, ché guai, se ti becca la polizia con il veicolo sporco di dà pure la multa – di tuniche lunghe e inamidate, le dishdasha da uomo, talmente perfette che passiamo ore a chiederci come sia possibile mantenerle così impeccabili, senza piega e senza macchia. Se l’ingegnere indossasse una dishdasha, sarebbe una patacca unica, e almeno questa è una certezza.
Muscat è una vorrei-essere-Dubai-ma-anche-no, moderna e in espansione ma non tanto quando le città dei vicini Emirati. Ci fermiamo quando basta per vedere il suq e la Moschea: niente di che il primo, bellissima la seconda, versione appena più modesta della Sheikh Zayed ad Abu Dhabi, con decorazioni sontuose, lampadari da togliere il fiato e il secondo tappeto persiano più grande del mondo. Inaugurata nel 2001, è uno dei tanti “regali” del fu sultano Qaboos: amatissimo dalla popolazione, è morto a gennaio dopo 50 anni di regno, durante i quali ha traghettato l’Oman nella modernità, aperto scuole nei villaggi più remoti, piantato pali della luce ovunque qualcuno lo chiedesse, rimesso a nuovo i già citati forti e via dicendo. Gran cavoli per il suo successore, l’ex ministro della cultura (da Qaboos designato come suo erede) che per dimostrarsi all’altezza dovrà darsi parecchio da fare.
Ma non è per restare in città che siamo arrivati fin qui. Con la nostra 4×4 (bianca) ci inerpichiamo sui monti Hajar, affrontiamo tornanti che ci ricordano il Kyrgyzstan, ci piantiamo nella ghiaia dei wadi, singhiozziamo su interminabili sequenze di dossi. Visitiamo villaggi di fango abbandonati e altri sonnacchiosi ma ancora in attività, il forte di Nizwa e il suo suq dove si vendono zucche, otri e fucili; saliamo sullo Jebel Shams, il picco più alto del Paese (3.075 metri), e passeggiamo sereni lungo la Balcony Walk nonostante la Lonely Planet la venda come un’escursione per temerari a strapiombo sulla morte, salutiamo le capre, campeggiamo nel nulla, mangiamo datteri e molti formaggini. L’unica cosa di cui sentiamo veramente la mancanza è la birra fredda. Ma non si può avere tutto dalla vita.