Il copione pre-pandemia recitava così: giugno in Albania, settembre in Sud Corea. Per ovvie ragioni abbiamo dovuto rivedere i programmi. Quest’estate si sta in Italia, riscopriamo il nostro Paese, che bello, yuppi-du. In realtà è bello davvero: mentre ci inerpichiamo in moto sullo Stelvio, 40 tornanti a salire dal versante lombardo e 48 a scendere da quello alto-atesino, schifo schifo non ci fa, e non sembra affatto un ripiego. Eccoci dunque, on the road again anche se più vicino del solito: finalmente la grafomane è riuscita a convincere l’ingegnere a esplorare il nord-est, terra dei suoi avi, e pazienza se c’è voluta una pandemia per arrivare a tanto. I primi giorni, dunque, sono un lento avvicinamento al Friuli, vera meta del viaggio. Scesi dallo Stelvio visitiamo il museo a cielo aperto di uno scultore pazzo, attraversiamo la Val Venosta con i suoi filari di meli infiniti, ci tuffiamo nella birra Forst (prodotta a Foresta, provincia di Bolzano), dormiamo a Lana, luogo caro alla grafomane che circa 15 anni fa vi fece una delle peggiori figure della vita, inciampando su se stessa e finendo lunga distesa e sanguinante davanti al proprietario di un hotel cinque stelle, al presidente della Fiera di Bolzano e un bel po’ di altra gente (Bridget Jones, spostati). Ma non divaghiamo. Da lì saliamo a Carezza per una prima passeggiata sui monti e una tappa al lago, che forse un tempo era bellissimo (così pare dalle foto dei suddetti avi), ma oggi è sovraffollato e con una sponda pelata a causa della tempesta Vaia, che nel 2018 ha giocato a shangai con gli alberi della foresta. Vorremmo andare a Cortina ma il meteo è funesto, così viriamo sulla Val di Zoldo, nel bellunese, e vinciamo tutto. Picchi, tornanti, scorci bellissimi che sarebbero ancora più belli se ci fosse un filo di sole. Pure il paese del gelato: Forno di Zoldo, da dove nell’Ottocento partirono i mastri gelatieri che, armati di carretto, per primi fecero conoscere la specialità nelle province dell’impero austro-ungarico. E poi la diga del Vajont, quella del disastro del 1963 che uccise 1917 persone e spazzò via Longarone e i comuni limitrofi. Una carezza e un pugno: così si procede in questi luoghi, dove tutto sembra meraviglioso e placido, e invece.
Ancora qualche chilometro e siamo in Friuli. Tra Veneto e Alto Adige torneremo alla fine della settimana, per le ultime tappe alle Tre Cime di Lavaredo – tanto spettacolari quanto affollate – e al lago di Braies, così inflazionato che manco Gardaland. Però molto fotogenico, come sanno le centinaia di gitanti a caccia di selfie. Noi no, preferiamo fare il bagno semi nudi fregandocene della folla. E su questa immagine chiudiamo questo capitolo.
Nadia
August 11, 2020 @ 18:55
Confermo che il lago di Carezza prima della tempesta Vaia era bellissimo. Ho avuto la fortuna di viverlo prima che ciò accadesse. Quando mi è stata data la notizia sono rimasta scioccata…
Giorgio Ghezzi
August 11, 2020 @ 20:39
Anche ora non è male ma un paio di lati purtroppo sono davvero pelati 🙁