(In questo frangente la grafomane esce eccezionalmente dal suo ruolo e scrive in prima persona, ché così deve essere)
È difficile spiegare il fascino della bassa friulana a chi, da piccolo, non veniva caricato in auto ogni Pasqua, Ferragosto e Ognissanti per andare a trovare la nonna, che viveva in una casa contadina con i muri ancora crepati dal terremoto del 1976, dove ci si lavava nei tini (il bagno era fuori e a novembre faceva troppo freddo per la doccia) e l’unica stanza riscaldata (troppo) era la cucina. Ricordo quei viaggi infiniti, le file di pioppi che correvano ipnotiche lungo la statale, i paesaggi tutti piatti, tutti uguali, ché mica per niente la chiamano “la bassa”. Non c’è cosa che catturi veramente l’attenzione, a cui l’occhio di passaggio possa appigliarsi. E capisco il mio buon ingegnere che si guarda attorno e sbadiglia, mentre percorriamo in moto le strade monotone della mia infanzia.
Inutile dire che io di tutta questa noia ne faccio un luna park. Ritrovo le vie anonime del paese dei miei zii, i fossi dove avevo paura di cadere in bicicletta, il dialetto famigliare che sa di mamma. A Lignano, sulla spiaggia vuota perché ha appena piovuto, illustro all’ing che per me il mare è questo, acqua calma e innocua che quasi non fa rumore, e un ritornello di ombrelloni ordinati in batteria come i trucchi da Sephora. Bello l’oceano, belle le Seychelles, belle e drammatiche le scogliere a picco, ma alla broda adriatica non si comanda. E poi c’è tutto il resto, rimasto intatto, come imbalsamato, un enorme Truman Show della mia memoria. Il campeggio, i ristoranti, il profumo dei pini. Scommetto che pure il sapore dei krapfen è rimasto identico. Dei krapfen, sì, ché sono bomboloni ma qui nessuno li chiama così.
Grado ci conquista nel tempo di un tramonto, Trieste in un minuto, forse anche di meno. L’ing finalmente capisce perché sono anni che insisto per portarcelo. Dirla affascinante non basta: è molto di più con il suo castello bianco che annuncia tutto il resto, quello di Miramare che da bambina mi faceva sognare di essere una principessa, il lungomare affollato di persone che si abbronzano sul cemento, le vie strette e le piazze ampie, le insegne vintage dei bar e delle edicole, il porto che che raccoglie tutti i raggi del sole morente, i localini, gli aperitivi, le strade che salgono, le strade che scendono, le strade che portano al mare, la bora che c’è anche quando non tira, che ti porta qui se sei lontano, lontano se sei qui, l’importante è che tu non stia fermo. A Trieste non si sta fermi, mai, perché il vento è più forte di tutto, anche della voglia di restare. Si sta appesi, aggrappati finché serve, e poi ci si lascia volare via. è il posto di chi arriva e chi parte, ed è per questo, credo, che per noi è subito casa.