C’è un posto sulla cartina, nell’angolo più in alto a destra della mainland scozzese: si chiama John o’Groats e fa solitudine già a vederlo lì, ridotto a un puntino sulla mappa. Bastano poi due ricerche su internet per scoprire che nel 2010 è stato eletto il luogo più deprimente dell’intera nazione. Con queste premesse potevamo forse perdercelo? Dopo la notte in auto barbon-style al castello Sinclair, partiamo dunque alla volta di questa invitante Terra Promessa. Il cielo è grigio e tira vento, sono le 8 del mattino e il covid fa il resto: la città è deserta, i bar al porto chiusi, di traghetti per le Orcadi neanche l’ombra. Solo un hotel accoglie quei quattro turisti che, come noi, sembrano arrivati per sbaglio. Eppure il tutto ha un suo fascino decadente. Meglio ancora quando ci si sposta di qualche chilometro e si raggiunge Duncansby Head con i suoi faraglioni, rocce puntute che spuntano dall’oceano come canini di un vampiro, così uguali tra loro da sembrare cesellati ad arte. Wow. In giro ci siamo solo noi e le pecore: il resto è uno scenario da cartolina, anzi da romanzo, roba che da un momento all’altro ci aspettiamo di veder comparire un capo clan a cavallo, Sean Connery in kilt, un suonatore di cornamusa e il fantasma di Macbeth. Da qui in poi, per qualche giorno, sarà tutto uno scenario drammatico lungo la costa nord-occidentale del Paese: strade strette e tortuose larghe per una macchina alla volta, pascoli verdi macchiati d’erica, montagne che non sono alte, ché in Scozia di montagne alte non ce ne sono, ma che ingannano l’occhio tanto da sembrarlo. E spiagge bianche e acque azzurre, che se non fosse per il clima sarebbero i Caraibi, chiese diroccate a un passo dalla riva, rovine abbandonate in mezzo ai campi, fattorie così isolate che per noi diventano “le case della gente che odia la gente”. È tutto talmente bello che la grafomane, solitamente letargica sui mezzi di trasporto, non dorme nemmeno un minuto mentre l’auto si muove lenta tra le curve. L’unico neo è la scritta “no vacancies” sulla porta di ogni bed & breakfast che incontriamo. Così, dato che gli scozzesi snobbano i più noti siti di prenotazione e molte strutture quest’anno sono chiuse a causa della pandemia, è con grande sollievo che seguiamo la freccia che dalla strada ci porta a Scourie, dove l’eccentrico Ron – ribelle della mascherina, negazionista da denuncia e complottista sfegatato, ma tutto sommato simpatico – ci offre un posto per la notte. E che posto. Una mobilhome con vista, con tanto di déhors che ci fa da beergarden e grandi vetrate per continuare a godersi lo spettacolo anche quando la temperatura cala. Altro merito del nostro padrone di casa è indicarci la strada a suo dire meno battuta di Scozia, un percorso dalla magnificenza commovente al quale nessuna descrizione renderebbe giustizia. Altri monti, altri laghi, altri pascoli, nuvole nel cielo azzurro, giunchi, qua e là un edificio diroccato, un ponte, una barchetta, salmoni che risalgono la corrente e ovunque acque immobili come specchi, che riflettono, duplicano, replicano, creano un mondo sottosopra tutto per noi, unici spettatori di questo splendore. Lasciateci qui. Almeno per un po’.