Le isole scozzesi sono una miriade, briciole grandi e piccole staccate da un grande biscotto particolarmente friabile – quello che chiamano Mainland, terraferma, anche se in fondo la Gran Bretagna è a sua volta nient’altro che un’isola – e sparse sulla tovaglia del mare. Ce ne sono circa 800, la maggior parte disabitate: noi ci limitiamo a visitarne una manciata, lasciando le altre per i prossimi viaggi, ché il tempo stringe e non possiamo passarlo tutto sui traghetti.
La prima dove approdiamo è Skye, la maggiore delle Ebridi Interne e la più facile da raggiungere perché collegata al resto da un lungo ponte. Ci accoglie splendida sotto un sole anomalo, brillante di colori che fanno pensare che Dio, colorandola con i suoi pastelli, abbia esaurito tutto il verde e tutto il blu. Fa così tiepido (caldo no) che l’ing si immerge spavaldo nelle acque delle Fairy Pools, piscine naturali nella parte sud-ovest dell’isola. Ord ci regala un tramonto bellissimo, Armadale – dove c’è anche un castello, antica residenza del clan Donald – una notte stellata che per il fresco (freddo) non ci soffermiamo a guardare. Il giorno dopo giriamo in lungo e in largo, dalle casette colorate di Portree passiamo agli scorci fiabeschi del castello di Dunvegan, ai promontori drammatici spazzati dal vento e al faro di Neist Point, dall’Old Man of Storr, il dito di roccia più fotografato dell’isola, al Quiraing, spettacolare altipiano vulcanico che meriterebbe più tempo. Ma il vento ci porta via e il traghetto in partenza da Uig pure, verso le Ebridi Esterne remote e malinconiche.
A Tarbert, sull’isola di Harris – che a Lewis è collegata da un lembo di terra talmente sottile che non si capisce se le isole siano due o una sola – arriviamo che è già buio. Piove e tira vento: dormiamo in una sorta di casetta degli Hobbit e speriamo che domani sia un altro giorno. Ci va male. La mattina seguente il tempo è grigio e tempestoso. Sulla spiaggia di Luskentyre assaggiamo il clima britannico al suo top, al complesso megalitico di Callanish – la Stonehenge scozzese – inizia a piovere in orizzontale, a Stornoway, graziosa cittadina che sarebbe tanto vivace col sole e senza covid, non resistiamo per strada più di cinque minuti. Visto il freddo che fa non ci stupisce che sia proprio questa la patria del caldissimo Harris tweed, il tessuto di lana che viene ancora lavorato a mano dagli isolani nelle loro case secondo il metodo tradizionale. Scoprirne la storia e l’arte vale il viaggio: noi lo facciamo grazie a Annie, la nostra padrona di casa cresciuta in una famiglia di tessitori, per la quale il telaio non ha segreti. È lei a portarci a casa di Ian, che ci dà una dimostrazione pratica del suo mestiere e, con i suoi gesti antichi, ci fa capire che a Lewis e Harris il tempo scorre su un altro piano, diverso da quello a noi noto.
Ci riavviciniamo alla terraferma, passiamo da Oban e ripartiamo per Mull, la seconda più grande delle Interne dopo Skye. L’isola ci piace ma lei ci odia e ci punisce, negandoci un tetto per la notte. Parcheggiati in una piazzola di sosta vista porticciolo, ci accampiamo in auto sognando un piumone. Il malumore svanisce il mattino dopo con la gita a Staffa, isoletta microscopica e disabitata che raggiungiamo scortati dai delfini, dove il mare, nei secoli, ha scavato la grotta di Fingal, una cattedrale di basalto degna dei migliori scalpelli – una di quelle cose che guardi e non ti spieghi come la Natura possa essere così artisticamente dotata. E poi Iona, l’isola sacra dove sbarcò San Columba, il monaco irlandese che nel Medioevo portò il cristianesimo in Scozia: un fazzoletto increspato di colline dolci, una macchia verde verde nel mare blu blu. Un posto quieto e silenzioso parco di case e persone, dove ancora una volta il tempo perde il suo senso, diventa inutile e superfluo, un di più del quale spogliarsi con sollievo.
L’ultima tappa è Arran, ma non ci arriviamo veramente: la vediamo a un palmo da noi dalla barca di Stephanie, la nostra skipper per un giorno, che la grafomane ha conosciuto anni fa in un bar di Barcellona e ora ritrova qui, con casa e ufficio galleggianti alla marina di Inverkip (e qualche difficoltà ad attraccare). Il pomeriggio nautico è fonte d’ispirazione. L’ing si mette al timone, la grafomane ozia e propone di mollare tutto e prendere il largo come gli sceneggiatori di Boris. Ge-nio!