Lo ammetto, la prima volta che siamo entrati in negozio da Safaa siamo rimasti un po’ perplessi. Avevamo letto di lei sul giornale ed eravamo curiosi di assaggiare le sue tanto decantate prelibatezze: ravioli, orecchiette, pasta fresca di ogni genere, torte salate leggendarie che, si dice in giro, creano dipendenza. Ma quel giorno il bancone era mezzo vuoto e noi siamo talmente abituati a quelli traboccanti di cibo che tanto minimalismo ci ha destabilizzato. Poi un venerdì mattina di pioggia siamo tornati a trovarla – volevamo raccogliere la sua storia, che è già stata raccontata più volte ma è così bella e forte e coraggiosa che ci tenevamo a farlo pure noi – e abbiamo capito tante cose. Tanto per cominciare, che la pasta fresca di Safaa è fresca davvero. La prepara al momento: se le chiedi quindici ravioli alla zucca, tira fuori il panetto di pasta all’uovo, la stende con la macchina sfogliatrice, piazza quindici palline di ripieno in fila, una dietro l’altra, e con gesti veloci piega, chiude, preme, taglia, crea dal nulla il numero preciso di fagottini perfetti e li sistema su un vassoietto di carta come bambini nella culla. Tu nel frattempo fai una commissione, vai in farmacia e ritorni, oppure aspetti di là mentre lei lavora e intanto lodi il pesto che hai comprato l’altra volta, le chiedi che dolci ha preparato e «sì, magari assaggio anche la ciambella cioccolato e arance». Quando i ravioli sono pronti, guai a chiederle quanto si tengono, ché usciti dal negozio bisognerebbe correre a casa e buttarli subito nell’acqua bollente per apprezzarne tutta la freschezza. «Se no tanto varrebbe che li preparassi prima e li tenessi in frigo», si impunta lei.
Safaa è così, i compromessi non le piacciono proprio. Se una cosa non le va, lo dice. Se qualcosa non funziona, la cambia. L’ha fatto con la sua vita tanti anni fa, quando ha lasciato suo marito e ha imparato a fare la pasta all’italiana. Prima, molto prima, abitava al Cairo, dove era nata e cresciuta: «Lavoravo come receptionist in un hotel internazionale, parlavo inglese dalla mattina alla sera», racconta. «Poi mi sono sposata: lui, egiziano come me, faceva il pizzaiolo in Italia. L’ho seguito a Milano quando avevo 25 anni: oggi ne ho 50, sono qui da metà della mia vita». Una volta nel nostro Paese, però, la musica è cambiata. Lui è cambiato: si è rivelato chiuso, possessivo, violento. Non la faceva uscire da sola, la zittiva di continuo, la teneva come prigioniera. «Per dodici anni non ho neanche imparato l’italiano», continua lei. «Eppure qualcosa di buono c’era: vedevo affetto e solidarietà nelle persone che incontravo per strada, nei vicini che intuivano come lui mi trattava. Mi davano conforto, mi sentivo meno sola». Finché a un certo punto Safaa si è stufata. «Pensavo a mio figlio, non volevo che crescesse simile a suo padre, neanche per un dieci per cento». Così si è fatta coraggio, se n’è andata, ha chiesto il divorzio: lui ha reagito male, l’ha minacciata, seguita per mesi. Lei non ha mollato, decisa a darci un taglio. «Mi mantenevo vendendo il cous cous che preparava in casa. Intanto avevo trovato un corso gratuito di pasta fresca della Regione Lombardia: l’ho frequentato, poi ho iniziato a cercare lavoro nei pastifici di Milano. Mi hanno preso in una bottega storica, aperta da 60 anni, dove si serviva pure Berlusconi». È lì che ha imparato i trucchi, le ricette, gli abbinamenti. Oggi Safaa ha il suo negozio – l’ha aperto otto anni fa «perché non sono fatta per fare la dipendente, devo fare di testa mia» – e padroneggia la tradizione italiana meglio di una nonnina, ché la nonnina in genere è forte sui piatti della sua regione d’origine mentre lei sa fare tutto, i cappelletti emiliani e le orecchiette pugliesi, gli gnocchi alla romana, le lasagne, i passatelli. «A forza di preparare le ricette italiane, sono diventata italiana anche io», dice. Non tutti lo accettano di buon grado: qualcuno storce il naso a vedere una signora egiziana con le mani in pasta, letteralmente. Qualcuno obietta che farebbe meglio a preparare piatti etnici. Ma basta assaggiare le sue tagliatelle per cambiare idea, o origliare le conversazioni con le persone che vanno e vengono di continuo, anche se è venerdì mattina, piove e in genere a quest’ora non dovrebbe esserci tanto movimento. Safaa conosce quasi tutti i suoi clienti per nome, della maggior parte ricorda cosa preferiscono, cosa tornano a comprare ogni settimana. Raccoglie i complimenti con grazia, il calore che riceve la ripaga della fatica che fa. E ne fa tanta: «Sono qui da sola, a volte pulisco i carciofi fino alle tre del mattino». Ha le mani piene di geloni, rovinate a furia di maneggiare gli ingredienti freddi da frigo, di tenerle sotto l’acqua. «Ci vuole passione per fare questo mestiere». Lei ne ha tanta, e dignità e coraggio da vendere. Sono questi gli ingredienti segreti dei suoi impasti. Forse la gente non se ne accorge, ma è questo a renderli speciali.
Il negozio di Safaa, La Pastaia, è in via Porro Lambertenghi 20 a Milano (quartiere Isola), tel. 02 49610212.