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Estate italiana reloaded/2 – Il Lazio, tra città eterna e paesi che muoiono
Federica CapozziAugust 10, 2021
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Destinazioni, Europa

Estate italiana reloaded/2 – Il Lazio, tra città eterna e paesi che muoiono

Facciamo un gioco: nominate tre località in Lazio, esclusa Roma. Elencate le quattro province oltre il capoluogo. Citate almeno due luoghi d’interesse fuori dal Grande Raccordo Anulare. Ci siete riusciti? Noi no, abbiamo fallito su tutta la linea e dunque deciso di fare ammenda con qualche tappa mirata alla scoperta della regione che nessuno si fila, oscurata dalla Capitale che, scusate se è poco, è giusto la Città Eterna dei Fori e dei Papi, quella che, almeno per noi che la raggiungiamo in treno o in aereo, inizia alla stazione Termini e finisce a Fiumicino, e tutto il resto è nebbia. Arriviamo da nord, dalla Toscana, sobbalzando in moto su strade che si fanno più dissestate man mano che ci addentriamo nella Tuscia viterbese, manco l’ultima manutenzione risalisse all’epoca degli degli Etruschi. Pazienza, il paesaggio ci consola degli scossoni, alle imprecazioni si sostituiscono i “wow” di meraviglia. Le colline sono dolci, i campi gialli di fieno, basta una svolta e la strada principale lascia il posto a un corridoio d’alberi fitti, ma non abbastanza da nascondere altre colline, altri campi, altro giallo oltre il verde delle foglie. Arriviamo a Civita di Bagnoregio ed è come vedere il castello di Oz in fondo alla strada lastricata di mattonelle d’oro: fiera e disperata sulla sua rocca di tufo destinata a sfaldarsi, “la città che muore”, come la chiamano, è collegata alla vita da un ponte pedonale sospeso. Basta attraversarlo per trovarsi in un’altra dimensione, in un borgo fuori dal mondo e dal presente dove gli abitanti sono undici come i titolari di una squadra di calcio, le case e le vie poche di più. Di giorno i turisti animano le stradine ma di sera ne restano soltanto una manciata, i privilegiati che hanno trovato una stanza e il tempo di fermarsi. Qualcuno si aggira furtivo, in punta di piedi quasi avesse pausa di disturbare il silenzio, gli altri si dividono tra due ristoranti, gli unici aperti per cena. È una notte surreale, presa in prestito da un film malinconico: pare di navigare su un Titanic che affonda lento, lentissimo, che va giù così piano nell’acqua scura che la mente s’inganna e scorda la paura. Casa nostra dà proprio sulla piazza principale, così prima di andare a letto ci prepariamo una tisana e ci sediamo a berla sui gradini della chiesa: e non so dire perché, ma è una cosa bellissima, di quelle che si ricordano senza bisogno di fotografie.
Novelli entusiasti di città crollanti, ne troviamo altre sul nostro cammino: prima Celleno, borgo disabitato dal 1951 per l’alto rischio idrogeologico, eppure vivace centro turistico dove ogni anno si tiene la sagra della ciliegia (con tanto di gara di sputo del nocciolo), poi Calcata, disertata dai suoi abitanti ma ripopolata dagli hippie e dagli artisti – qualcuno dice pure dalle streghe – che hanno trasformato le vecchie case cadenti in botteghe e atelier. Quella di Gemma diventa subito la nostra preferita: una sala da tè con terrazzino, ingombra di teiere da collezione divise per colore, dove la signora, una belga dai capelli lunghissimi raccolti in una treccia grigia, offre 101 miscele diverse e, per chi la volesse, un pezzetto della sua storia, preziosa come il nome che porta. Altre storie sono quelle del bosco sacro di Bomarzo, il parco dei mostri voluto nel Cinquecento da Vicino Orsini, signore visionario, per animare il verde attorno al suo palazzo: una follia scultorea che cruccia chiunque le cerchi un senso e diverte tutti gli altri, che a trovarle un significato recondito non hanno interesse. O ancora quelle del castello Odescalchi di Bracciano, dove ai nobili di ieri si uniscono i vip di oggi, che di tanto in tanto arrivano qui per celebrare nozze da favola. Noi, che di nobile e vip abbiamo ben poco, ci accontentiamo di una visita veloce. Meglio ci si confà l’aperitivo sul lungolago ad Anguillara, dove il sole muore nelle acque calme e nelle nostre birre chiare. E la porchetta ad Ariccia, che l’ing ci tiene tanto a mangiare anche se ci sono milledue gradi, il vino de li castelli e la cacio e pepe della Capitale. Ché tutte le strade portano a Roma, e anche una volta che hai scoperto che esiste il resto del Lazio, mica ti puoi esimere da un saluto alla città eterna…

Civita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo: costruita su una rocca di tufo, è destinata a crollare: per questo, e per lo spopolamento che l’ha colpita, è nota come “la città che muore”.
Luce della sera e silenzio nei vicoli di Civita.
Verso sera Civita di Bagnoregio si svuota dei turisti. Resta solo qualcuno, che cammina solitario…
La piazza principale di Civita di Bagnoregio.
Casa abbandonata costruita nel tufo, Civita di Bagnoregio.
Montone a Civita di Bagnoregio, “la città che muore”.
La valle dei Calanchi vista da Civita di Bagnoregio.
La cattedrale di Santa Margherita a Montefiascone, città del vino Est Est Est.
Il borgo fantasma di Celleno: costruito sul tufo, è disabitato dal 1951 per ragioni di sicurezza.
Aprire una porta a Celleno.
Il paesaggio dolce della regione Teverina visto da Celleno.
Balle di fieno nei campi della campagna laziale.
Creature fantastiche al Bosco sacro di Bomarzo.
Montone al Bosco Sacro di Bomarzo: alle sue spalle la scultura più nota: l’Orco.
Calcata Vecchia, ennesimo borgo costruito su una pericolante rocca di tufo: in Lazio è un vizio diffuso.
Calcata Vecchia ha trovato l’antidoto allo spopolamento: nelle sue case abitano artisti e hippie.
Ad Anguillara, il lago di Bracciano spunta alla fine dei vicoli.
Anguillara, sul lago di Bracciano.
Il tramonto ad Anguillara, sul lago di Bracciano.
Il tramonto allo specchio, Anguillara.
Lunga infilata di porte al castello di Bracciano, oggi proprietà della famiglia Odescalchi.
Cortile interno al Castello di Bracciano.
I tetti di Roma.
La Vela di Calatrava a Tor Vergata (Roma): progettata per la Città dello Sport e mai finita, è stata usata come set per la serie Tv Suburra.
Montone al Pantheon, Roma.
Montone a Subiaco, i “Caraibi del Lazio”.

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