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Bhutan/1 – Paro e il Festival
Federica CapozziMay 23, 2023
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Asia, Destinazioni

Bhutan/1 – Paro e il Festival

Il viaggio in Bhutan era in programma da così tanto tempo – anni ormai, di cui gli ultimi tre passati ad aspettare che i confini riaprissero dopo la pandemia – che finche l’aereo non ha toccato la pista di Paro, non ci abbiamo creduto veramente. Paro non è la capitale del paese (quella è Thimphu)  ma è il suo unico aeroporto internazionale nonché uno dei più pericolosi al mondo (classifiche alla mano), e difatti solo i piloti bhutanesi sono autorizzati a volarci, unici capaci di imbroccare la minuscola pista, stretta tra le pareti di roccia himalayane. Atterraggio perfetto, sopravviviamo. Sopravviviamo e finalmente ci siamo, eccoci in Bhutan, un regno grande come un chicco di caffè in un cesto di cocomeri. L’India da una parte, il Tibet con attaccata la Cina dall’altra, il piccolo Bhutan ha metà degli abitanti di Milano e quasi non si vede sulla mappa. Fino agli Anni 60 è rimasto così chiuso e isolato che l’atmosfera che si respira ancora oggi è d’altri tempi. Il progresso va veloce, ma siamo pur sempre in un paese dove la Tv e intenet sono arrivati nel 1999 e i cellulari nel 2005, dove il Pil è così basso che al suo posto si preferisce calcolare la Felicità Interna Lorda. Il che non risolve i problemi, soprattutto quelli di disoccupazione, ma fa molto colore sulle guide di viaggio.

Ma torniamo a noi, a Paro che ci accoglie in pieno tsechu, il festival buddhista che, in date diverse, si svolge una volta l’anno nelle principali città bhutanesi. È una festa religiosa e solenne, con rappresentazioni allegoriche e sacre e la gente che arriva a fiumi da tutto il distretto, ma è pur sempre una festa e anche se noi degli spettacoli ci capiamo ben poco, abbiamo di che riempirci gli occhi. Tutti i presenti, nessuno escluso, indossano gli abiti tradizionali. Gli uomini portano il gho a righe o a quadretti, una specie di vestaglia al ginocchio con maniche dagli ampi risvolti, che si abbina con calzettoni scuri e mocassini. Sembrano dei vecchi lord appena alzati dal letto, fanno anche un po’ ridere ma sono talmente fieri e impettiti, pure i bambini di pochi anni, che l’ilarità passa e li prendi subito sul serio. In compenso le donne sono stupende e coloratissime con i loro kira tessuti a mano, gonne a portafoglio lunghe fino a terra, che si portano con bluse di seta e, sopra, delle giacchette corte e un po’ bombate, variopinte e ricamate, chiuse da spille vistose. Non c’è una mise uguale all’altra, i tessuti sono elaborati, i colori accesi e abbinati senza timidezza. Noi, grigi e tecnici nei nostri abiti da trekking, siamo un’offesa cromatica all’occasione solenne, stoniamo in mezzo alla folla ma attiriamo solo sorrisi, ché i bhutanesi sono gentili e anche se fai schifo non te lo fanno pesare.

I bhutanesi sono anche molto religiosi. L’ultimo giorno del tsechu, quando prima dell’alba viene esposto il thangka di Guru Rimpoche, un enorme ritratto sacro del loro veneratissimo Maestro Prezioso, la gente in fila per vederlo, e purificarsi con la sola vista, è tanta che manco all’ingresso di un concerto. È ancora buio, noi siamo mezzi addormentati, ma assistere a questo momento di spiritualità profonda e collettiva è una di quelle ragioni per le quali amo viaggiare e ringrazio per la possibilità di farlo. 

A tsechu finito, gli amici se ne vanno. Paro si svuota, i giostrai smontano, spariscono le bancarelle e le auto in fila sull’unica strada della cittadina. La vita riprende normale. I bhutanesi tornano a preparare i campi alla semina di primavera, noi mangiamo momo (dumplings) nei ristoranti interdetti ai turisti, trasciniamo la guida in birreria, visitiamo lhakhang (templi), chorten (reliquiari), musei e dzong, i monasteri-fortezza che ospitano, oltre ai quartieri religiosi, anche gli uffici amministrativi di ogni distretto bhutanese. Quello di Punakha, di cui diremo poi, è il più spettacolare, ma quello di Paro, quando di notte viene illuminato dal basso, sembra fluttuare nel buio, sorretto da torce di fuoco bianco, ed è di una bellezza talmente ipnotica che per guardarlo potresti scordarti di dormire per sempre.

Paro è anche il punto di partenza per l’ascesa al Tiger’s Nest, il monastero della Tana della Tigre, dove Guru Rimpoche volò trasportato da una tigre alata (sua moglie, trasformata per l’occasione) per sottomettere un demone e poi fermarsi a meditare. È il luogo più famoso del Bhutan, appeso come per miracolo a una parete di roccia verticale. Per raggiungerlo ci vogliono un’ora e mezza di cammino in salita, di più se il fiato manca, le gambe cedono o sei Kate duchessa di Cambridge in visita e non puoi sudare perché nelle foto ricordo devi essere impeccabile. Noi, al solito, a essere impeccabili non ce la possiamo fare, e nemmeno ci importa. Arriviamo su fradici e felici, c’è il sole, questa cosa aggrappata alla rupe grida bellezza da ogni angolo, è uno scherzo dell’uomo alla natura, una beffa architettonica alla legge di gravità. Se chiudi gli occhi, senti un battere d’ali. Sono quelle della tigre magica di Guru Rimpoche. 

POCHE INFO PRATICHE
Per visitare il Bhutan, è necessario pagare una tassa governativa giornaliera. Al momento ammonta a 200 USD a persona, ma pare che sia in via di revisione e potrebbe abbassarsi. Serve al Governo a finanziare scuole, ospedali e altri servizi per la popolazione (oltre a segare le gambe al turismo di massa). AGGIORNAMENTO del 1/6/2023: buone notizie!! Il Governo bhutanese ha effettivamente rivisto la tassa. Leggete qui: https://thebhutanese.bt/government-announces-new-sdf-incentives-of-4-7-and-12-nights-sdf-waivers-to-encourage-visits/
Solo due compagnie volano in Bhutan: la DrukAir e la Bhutan Airlines, con partenze da India, Nepal e poco altro. Noi abbiamo volato Air India fino a Delhi, con diretto da Milano: con lo scalo lungo, siamo pure riusciti a vedere il Taj Mahal.
Muoversi in autonomia non è (ancora) consentito, o comunque è più complicato e costoso che prendere una guida. Noi ci siamo rivolti a un operatore locale e ci siamo trovati benissimo. Lo consigliamo senza riserve per serietà, onestà, prezzo e simpatia. Si chiama T8 Untrodden, Dorji Lopzang è la persona con cui abbiamo parlato dall’Italia per mettere a punto il nostro itinerario su misura. Qui i contatti:
Mail: hello@bhutanuntrodden.com
Sito: www.bhutanuntrodden.com
WhatsApp: +975 17 17 08 88

Il palco all’aperto del tsechu di Paro.
La folla riunita al tsechu (festival) di Paro. L’evento è molto importante, arriva gente da tutta la regione.
Uomini e bambini in abito tipico assistono agli spettacoli del Festival di Paro.
Lui è un pagliaccio, una delle maschere sempre presenti ai tsechu (festival). E sì, quello che tiene in mano è un fallo di legno. In Bhutan scaccia la sfortuna ed è spesso usato come decorazione nelle case.
Spettacolo allegorico al tsechu di Paro.
Un gruppo di performer pronte a esibirsi durante lo tsechu (festival).
Donne in costume tipico al festival di Paro.
Pagliaccio al festival di Paro.
Danze allegoriche durante il tsechu.
Festival di Paro: suonatori.
Il ritratto gigante di Guru Rimpoche, srotolato prima dell’alba dell’ultimo giorno di Festival. Per i bhutanesi è un momento sacro importantissimo.
Gioco popolarissimo alle bancarelle di Paro: una specie di roulette dove, invece che girare la ruota, si tira una freccetta al tabellone (che è pieno di numeretti piccoli piccoli).
Il Tiger’s nest, o Monastero di Taktsang, è incastonato sul fianco di una montagna.
Aguzza la vista: quel puntino bianco nel fianco della montagna è il Tiger’s Nest.
Noi e Kille, la nostra guida, all’inizio del trekking per raggiungere il Tiger’s Nest.
Ultima foto consentita prima di entrare al Tiger’s Nest, dove le macchine fotografiche e telefoni sono banditi.
La valle di Paro con le sue risaie e campi coltivati.
Vista dall’alto sullo dzong (fortezza) di Paro.
Nel cortile dello dzong di Paro. In Bhutan gli dzong (fortezze) riuniscono quartieri religiosi e uffici amministrativi.
Dzong di Paro.
Lo dzong di Paro by night, visibile da ogni parte della città.
Lo Zuri dzong, a Paro, è uno dei più antichi del Paese: risale al 12esimo secolo.
Bandiere votive. Il vento sparge preghiere e buone intenzioni nella valle.
Uomini con indosso il gho, l’abito tipico che somiglia tanto a una vestaglia.
Il museo nazionale di Paro è ricavato un’antica torre di guardia.
Il tempio buddhista Jangtsa Dumtseg Lhakhang.
Le ruote della preghiera tipiche dei templi buddhisti. Mentre si prega, bisogna farle girare.
Drukgyel dzong, nella parte alta del distretto di Paro. Distrutto da un incendio, è al momento chiuso per ristrutturazione.
Noodle, riso fritto e altre leccornie in un ristorante di cucina locale.
Degustazione di birre locali al microbirrificio Namgay di Paro.

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