Seul è una città dove potremmo vivere, se non fosse per il kimchi – sì, lo so che la cucina coreana va di moda e che così dicendo bestemmio contro il dio degli influencer, ma tanto noi non siamo influencer e possiamo gridare al mondo il nostro orrore per la verdura fermentata piccante, che pure abbiamo ingurgitato a chili. Ma kimchi a parte, ecco di seguito le dieci ragioni per le quali Seul è un luogo meraviglioso:
1. I vicoli di Ikseon-dong, stretti, stipati di negozietti, ristoranti odorosi e sale da tè, di vecchi hanok, le case di legno tradizionali, salvate dalla rovina e trasformate in localini invitanti. A Ikseon-dong non ci sono le commesse aggressive di Myeong-dong, il centro turistico, quelle che ti tirano dentro ai negozi di cosmesi coreana millantando elisir di eterna giovinezza. A Ikseon-dong ci sono i designer locali, le viette senza uscita, la Seul dove è bello perdersi senza fretta e senza meta.
2. Il k-pop. Non siamo fan, a mala pena distinguiamo i BTS da tutti gli altri, ma un concerto k-pop a Seul, seppure nelle retrovie, è una giostra al luna park. Sul palco si susseguono cricche di idol dai look improbabili che intonano motivetti orecchiabili e si muovono in sincrono, strappanodo ai fan grappoli di ultrasuoni. Eleggiamo il nostro preferito: uno degli NCT Dream, in braghe corte, cappello floscio, giacca e, sopra la giacca, bolero a maniche corte. Roba che se tu esci così di casa ti arrestano, ma lui no, lui è il figo della vita e tutti gli strapperebbero i vestiti fino alle mutande.
3. Teddy Bear. Hit delle StayC, quattro moderne Britnery Spears in versione coreana, la sentiamo ovunque, ripetutamente, in auto, alla radio, nei centri commerciali, per strada. Quando non c’è, la cantiamo noi, che un po’ ci manca.
4. Seongsu-dong. La chiamano la Brooklyn di Seul, perché è un quartiere periferico che ieri faceva schifo e oggi non più. Con i suoi murales, i microbirrifici e le vie affollate il sabato pomeriggio, Seongsu-dong è a un soffio dall’hipsterizzazione ma ancora si salva, è nel suo momento più bello, quando accanto al locale trendy dove la gente fa la fila per comprare quattro croissant al sale, c’è un palazzo con i lavori in corso, giri l’angolo e di cool non c’è più niente, non ancora – solo la voglia di riscatto che è propria dei quartieri “male” che si stanno rifacendo il look.
5. Il mercato di Gwangjang. Ci andiamo di sera, all’ora di cena, e nel luna park di bancarelle di cibo, quasi per caso troviamo la signora dei noodle che abbiamo visto su Netflix prima di partire. Tira la pasta a mano, al momento, taglia i noodle con un coltellaccio e li butta nell’acqua bollente, tutto in tempo reale, e intanto sorride, sorride, sorride come se ci fosse ancora la telecamera. I noodle sono buoni, scivolano dalle bacchette, cadono nel brodo e schizzano dappertutto. Accanto a noi c’è un signore mezzo ubriaco che comunica con noi snocciolando nomi di calciatori italiani, un grande classico in Asia che ci diverte sempre tantissimo.
6. Le Crocs. Le mettono tutti, ci vanno in giro ovunque, di giorno e di sera, le sfoggiano colorate, col pelo, piene di lucky charms manco fossero braccialetti. Sono brutte come il peccato, come sempre, ma a furia di vederle ai piedi altrui ci viene (ok, mi viene) quasi voglia di comprarne un paio.
7. L’illusione dell’eterna giovinezza (già citata al punto 1). Entra in un negozio di cosmesi e ne uscirai salvo/a dagli strali del tempo. Maschere alla bava di lumaca, creme antirughe, sieri, tonici e eye-patches contro occhiaie e zampe di gallina, integratori al collagene. Tutto alimenta la pia illusione che spalmandoceli in faccia con la cazzuola, domani ci sveglieremo con la pelle liscia di un’asiatica che non ha mai visto il sole. E il navigar ci è dolce in questo mare.
8. I cani coreani fanno riderissimo. È criminale, lo so, e non dovremmo divertirci tanto, ma l’abitudine che hanno i coreani di mettere i cani nel passeggino, ché tanto di figli ne fanno meno di noi, e di vestirli manco fosse carnevale, è francamente esilarante. Abbiamo visto cani con la maschera da sub, cani con i calzini e gli stivaletti, cani biancaneve, cani angelo, cani signorina bon ton. Cani cani, poco o niente. è politically scorrect, e segno di disagio mentale, ma non potendoci fare niente, ci ridiamo (molto) su.
9. Il cibo più bello che buono. Due passi tra le bancarelle di cibo di strada e vuoi assaggiare tutto. Assaggi tutto e vuoi morire. Quello che sembra salato è in realtà dolce, il formaggio sa di zucchero, di zucchero è glassata l’unica frutta che si trova in vendita nel raggio di chilometri. Tutto, anche tua nonna, è piccante o molto piccante. I cesti d’aglio sono scenografici, molto belli da vedere, ma la minaccia è palese: da qualche parte, quelle teste bianche e lucide dovranno pur finire. In genere nel tuo piatto. Ma se ti limiti a guardare, a saziarti con gli occhi, la cucina coreana è meglio di una galleria d’arte.
10. L’Asia senza stress. È così che ci appare Seul: facile, maneggevole, molto più vivibile del previsto. Più rilassata di Tokyo, assai più rilassante di Delhi, eccitante come Bangkok ma molto meno frastornante. Ci immaginiamo residenti, concludiamo che sarebbe interessante. Poi ci ricordiamo che i coreani lavorano troppo, si fanno di caffeina per restare svegli, sulla testa hanno un altro pezzo di Corea con i missili puntati nella loro direzione, e un dittatore paffuto che è meglio che non si svegli male. E poi hanno il kimchi, quel maledetto kimchi. Forse, prima di trasferirci, ci pensiamo due volte.