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Rust2Dakar/1: Marocco e Mauritania
Federica CapozziFebruary 9, 2024
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Africa, Destinazioni

Rust2Dakar/1: Marocco e Mauritania

Quarantotto persone, undici auto, cinque moto, tre van. Più di quattromila chilometri da percorrere da Tangeri alla Guinea Bissau in 15 giorni, e ancora prima, 53 ore di nave per arrivare da Genova al Marocco. Questi sono i numeri della Rust2Dakar 2023, il charity rally organizzato dall’associazione Tavolo8 sulle tracce della mitica Parigi Dakar, per portare mezzi in Africa e donarli a realtà locali che daranno loro nuova vita. Stando ai numeri, sembra una follia. Stando alla realtà, anche. Più che altro perché noi partiamo in quattro su una Honda Civic del 1996, con seicentomila chilometri all’attivo e qualche pezzo mancante, tipo i giunti omocinetici che però io non so cosa siano, quindi la cosa non riesce a turbarmi più di tanto.

Dunque, anche se sembra una follia, partiamo, io e l’ing accodati a due amici che dovevano viaggiare soli ma poi chissà, avranno pensato che in due sulla Honda si stesse troppo larghi. Il 28 dicembre 2023, all’imbarco al porto di Genova, l’auto è stipata, l’assetto ribassato, l’ilarità degli altri concorrenti, che ci danno per spacciati al primo dosso, alle stelle.

Sopravviviamo con dignità ai due giorni e mezzo di nave, maledicendoci per non aver portato a bordo tre casse di vino come pensato inizialmente. Scesi al porto di Tangeri Med, partiamo a razzo verso Rabat, ché la Rust2Dakar è anche una gara e per guadagnare punti bisogna muoversi in fretta e passare da più waypoint possibili. A Rabat ci arriviamo tardi, mangiamo del pollo, dormiamo, ripartiamo. Il giorno successivo, che è anche l’ultimo dell’anno, siamo a Essaouira, meravigliosa Essaouira, in tempo per il tramonto sulle mura, a tiro dei gabbiani giganti che ci guardano facendo brutto. Di nuovo mangiamo del pollo, festeggiamo, (non) dormiamo, ripartiamo. È l’alba del nuovo anno e a spezzare il silenzio c’è solo la voce potente di un invisibile muezzin. Di nuovo decidiamo che Essaouira è un luogo magico dove fare ritorno ancora, e ancora, e ancora.

Scendiamo. Scivoliamo giù, lungo la costa del Marocco, ripassiamo da luoghi già visti e molto amati, sulle curve affacciate sull’oceano già percorse anni fa. Una notte la passiamo allo Ksar Tafnidilt, in mezzo al deserto – ksar vuol dire “castello”, “fortezza”, e questo davvero lo è, bellissimo, imponente, rosso nella luce del tramonto e poi ancora nei primi bagliori dell’alba. Per arrivarci ci vogliono sei chilometri di sterrato fetente. Davide, che del rally è l’organizzatore e dell’enfasi un fan accanito, ci mette in guardia, annuncia che ci insabbieremo, consiglia di non prendere quella strada sotto gamba. Nessuno lo caga più di tanto. Imbocchiamo la pista come se fosse quella liscia e pulita di Holiday on ice. Le moto si ribaltano, le auto si intuppano tra le dune. A turno, ci facciamo trainare fuori dai mezzi più performanti. Davide ci guarda soddisfatto con quella faccia da: “Ve l’avevo detto, io”. Noi fingiamo indifferenza mentre mangiamo del pollo.

Il giorno dopo passiamo da Tarfaya, dove c’è un minuscolo museo dedicato a Antoine de Saint Exupery perché negli Anni 20, lui e gli altri piloti dell’Aeropostale passavano di qui mentre portavano, in volo, la posta da Tolosa alle colonie. Da lì ci addentriamo nel Western Sahara, quel pezzo di Marocco che si vorrebbe indipendente, uno dei tanti Stati non riconosciuti che però esiste, a modo suo. E il modo suo è una strada poco tortuosa e alquanto noiosa, che taglia il deserto mentre a destra scorre l’oceano. La tappa è Dakhla, il paradiso del vento, meta degli amanti del surf e del kite: una Fuerteventura africana senza abusivismo edilizio, per ora, dove invece delle tapas si mangia indovinate un po’ cosa?

Dakhla la lasciamo all’alba, mentre il cielo inizia appena appena a farsi chiaro. Più giù, affrontiamo in convoglio la nostra prima frontiera. A uscire dal Marocco ci mettiamo cinque, sei ore. Non so dirlo con precisione perché a un certo punto penso di essere svenuta per il tedio e ho perso la cognizione del tempo. Una coda infinita, le auto ferme sotto il sole, la gente disposta a tutto per avanzare di un metro, e la polizia di frontiera che intanto se la prende comoda e sorseggia il tè per digerire il pranzo. La faccio breve, anche se breve non è: dopo ore, il passaggio dei cani antidroga, mille controlli e qualche mazzetta, usciamo dal Marocco e sbuchiamo nella terra di nessuno, pochi chilometri di discarica che ci separano dalla frontiera Mauritana. Altra attesa. Altre ore, non so quante, forse un paio. Finiamo che è buio. Nel buio guidiamo fino a dove campeggeremo in riva al mare.

La Mauritania mi spezza il cuore. È uno dei Paesi più poveri dell’Africa, ha una densità abitativa irrisoria, è tutto deserto e desolazione. La lunga strada che corre lungo la costa è interrotta a tratti solo da qualche pompa di benzina, spesso abbandonata, dove le capre vagano in cerca di chissà cosa. Fa caldo, e c’è silenzio. Ogni tanto spunta un villaggio di capanne sghembe, dove gli unici esseri umani sono quelli intenti ad appendere il pesce per farlo essiccare. Ogni tanto spunta un posto di blocco, dove un agente armato pretende i documenti. Ogni tanto spunta una strada secondaria, ma c’è sempre qualcuno che ci fa capire che non è il caso di imboccarla. Arriviamo a Nouakchott, la capitale. Siamo sfiniti. Mangiamo del pollo, dormiamo, ripartiamo. Domani ci attende la frontiera con il Senegal: Rosso, quella che chiamano “l’inferno”.

Montone in posa sul tetto della Honda Civic del 1996 che ci porterà da Tangeri fino in Guinea Bissau. Qui al porto di Genova, all’imbarco.
Montone, lo stradario del Marocco e Exploding kittens che ci ha tenuto compagnia per 53 ore di viaggio in nave.
Donna al lavoro nella cooperativa Marjana, alle porte di Essaouira, dove si lavora l’argan per uso cosmetico e alimentare.
Marrakech, potenti mezzi sulle strade.
Strade di Essaouira al crepuscolo.
I bastioni di Essaouira: circondano la Medina e furono costruiti nel XVIII secolo per proteggere la città dalle invasioni straniere.
Essaouira, tramonto sui bastioni.
Essaouira, l’ultimo tramonto del 2023.
La Honda e le onde, Marocco.
La Honda insabbiata sulla pista che porta allo ksar Tafnidilt.
Lo ksar Tafnidilt, a Tan Tan, in pieno deserto marocchino.
Prima multa presa in Marocco, ree (io e Ila, sui sedili posteriori) di non aver messo la cintura.
Uccelli a mare, Tarfaya (Marocco).
Oceano e curve, Marocco.
Uno degli eroici motociclisti della Rust2Dakar.
Kite in volo sulla laguna di Dakhla.
La laguna di Dahkla.
Vicoli invitanti a Dakhla downtown, in Western Sahara (ufficialmente Marocco).
Montone e il cartello che indica il Tropico del Cancro, in Marocco (23°27 nord).
Veicoli in coda alla frontiera, in uscita dal Marocco. Ci vorranno ore per passare dall’altra parte.
Cartelli eloquenti nella Terra di Nessuno, tra Marocco e Mauritania.
Montone e la sua prima alba mauritana in spiaggia.
Simone imbraga il teschio di un cammello per issarlo sul tetto della Honda (spoiler: pessima idea).
Resti di cammello/i nel deserto mauritano.
La Honda parcheggiata davanti alla Gare du Nord, in Mauritania. Ai tempi della Parigi Dakar era l’unica stazione di servizio nei raggio di centinaia di chilometri.
Stazione di servizio abbandonata con capra, Mauritania.
Villaggio mauritano.
Abitazione mauritana. Notare il filo teso, sulla sinistra, con il pesce appeso a essiccare.
Capannello di partecipanti alla Rust2Dakar attorno al fuoco, in Mauritania. Sullo sfondo si vedono le tende dove abbiamo dormito: un accampamento berbero nel deserto, alle porte della capitale Nouakchott.
Primo tramonto marocchino. Chi ben comincia…

Lo speciale Rust2Dakar
Post:
• Episodio 1: Marocco e Mauritania
• Episodio 2: Senegal e Guinea Bissau

Podcast: Saluti & Baci
• Rust 2 Dakar by team 4Africa
• Verso Tangeri
• Marocco e Mauritania
• Le frontiere
• Storie di mezzi e di persone
• Cap Skirring, ultima tappa!

Siti ufficiali:
• https://www.rust2dakar.org/
• https://www.tavolo8.org/

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