Quarantotto persone, undici auto, cinque moto, tre van. Più di quattromila chilometri da percorrere da Tangeri alla Guinea Bissau in 15 giorni, e ancora prima, 53 ore di nave per arrivare da Genova al Marocco. Questi sono i numeri della Rust2Dakar 2023, il charity rally organizzato dall’associazione Tavolo8 sulle tracce della mitica Parigi Dakar, per portare mezzi in Africa e donarli a realtà locali che daranno loro nuova vita. Stando ai numeri, sembra una follia. Stando alla realtà, anche. Più che altro perché noi partiamo in quattro su una Honda Civic del 1996, con seicentomila chilometri all’attivo e qualche pezzo mancante, tipo i giunti omocinetici che però io non so cosa siano, quindi la cosa non riesce a turbarmi più di tanto.
Dunque, anche se sembra una follia, partiamo, io e l’ing accodati a due amici che dovevano viaggiare soli ma poi chissà, avranno pensato che in due sulla Honda si stesse troppo larghi. Il 28 dicembre 2023, all’imbarco al porto di Genova, l’auto è stipata, l’assetto ribassato, l’ilarità degli altri concorrenti, che ci danno per spacciati al primo dosso, alle stelle.
Sopravviviamo con dignità ai due giorni e mezzo di nave, maledicendoci per non aver portato a bordo tre casse di vino come pensato inizialmente. Scesi al porto di Tangeri Med, partiamo a razzo verso Rabat, ché la Rust2Dakar è anche una gara e per guadagnare punti bisogna muoversi in fretta e passare da più waypoint possibili. A Rabat ci arriviamo tardi, mangiamo del pollo, dormiamo, ripartiamo. Il giorno successivo, che è anche l’ultimo dell’anno, siamo a Essaouira, meravigliosa Essaouira, in tempo per il tramonto sulle mura, a tiro dei gabbiani giganti che ci guardano facendo brutto. Di nuovo mangiamo del pollo, festeggiamo, (non) dormiamo, ripartiamo. È l’alba del nuovo anno e a spezzare il silenzio c’è solo la voce potente di un invisibile muezzin. Di nuovo decidiamo che Essaouira è un luogo magico dove fare ritorno ancora, e ancora, e ancora.
Scendiamo. Scivoliamo giù, lungo la costa del Marocco, ripassiamo da luoghi già visti e molto amati, sulle curve affacciate sull’oceano già percorse anni fa. Una notte la passiamo allo Ksar Tafnidilt, in mezzo al deserto – ksar vuol dire “castello”, “fortezza”, e questo davvero lo è, bellissimo, imponente, rosso nella luce del tramonto e poi ancora nei primi bagliori dell’alba. Per arrivarci ci vogliono sei chilometri di sterrato fetente. Davide, che del rally è l’organizzatore e dell’enfasi un fan accanito, ci mette in guardia, annuncia che ci insabbieremo, consiglia di non prendere quella strada sotto gamba. Nessuno lo caga più di tanto. Imbocchiamo la pista come se fosse quella liscia e pulita di Holiday on ice. Le moto si ribaltano, le auto si intuppano tra le dune. A turno, ci facciamo trainare fuori dai mezzi più performanti. Davide ci guarda soddisfatto con quella faccia da: “Ve l’avevo detto, io”. Noi fingiamo indifferenza mentre mangiamo del pollo.
Il giorno dopo passiamo da Tarfaya, dove c’è un minuscolo museo dedicato a Antoine de Saint Exupery perché negli Anni 20, lui e gli altri piloti dell’Aeropostale passavano di qui mentre portavano, in volo, la posta da Tolosa alle colonie. Da lì ci addentriamo nel Western Sahara, quel pezzo di Marocco che si vorrebbe indipendente, uno dei tanti Stati non riconosciuti che però esiste, a modo suo. E il modo suo è una strada poco tortuosa e alquanto noiosa, che taglia il deserto mentre a destra scorre l’oceano. La tappa è Dakhla, il paradiso del vento, meta degli amanti del surf e del kite: una Fuerteventura africana senza abusivismo edilizio, per ora, dove invece delle tapas si mangia indovinate un po’ cosa?
Dakhla la lasciamo all’alba, mentre il cielo inizia appena appena a farsi chiaro. Più giù, affrontiamo in convoglio la nostra prima frontiera. A uscire dal Marocco ci mettiamo cinque, sei ore. Non so dirlo con precisione perché a un certo punto penso di essere svenuta per il tedio e ho perso la cognizione del tempo. Una coda infinita, le auto ferme sotto il sole, la gente disposta a tutto per avanzare di un metro, e la polizia di frontiera che intanto se la prende comoda e sorseggia il tè per digerire il pranzo. La faccio breve, anche se breve non è: dopo ore, il passaggio dei cani antidroga, mille controlli e qualche mazzetta, usciamo dal Marocco e sbuchiamo nella terra di nessuno, pochi chilometri di discarica che ci separano dalla frontiera Mauritana. Altra attesa. Altre ore, non so quante, forse un paio. Finiamo che è buio. Nel buio guidiamo fino a dove campeggeremo in riva al mare.
La Mauritania mi spezza il cuore. È uno dei Paesi più poveri dell’Africa, ha una densità abitativa irrisoria, è tutto deserto e desolazione. La lunga strada che corre lungo la costa è interrotta a tratti solo da qualche pompa di benzina, spesso abbandonata, dove le capre vagano in cerca di chissà cosa. Fa caldo, e c’è silenzio. Ogni tanto spunta un villaggio di capanne sghembe, dove gli unici esseri umani sono quelli intenti ad appendere il pesce per farlo essiccare. Ogni tanto spunta un posto di blocco, dove un agente armato pretende i documenti. Ogni tanto spunta una strada secondaria, ma c’è sempre qualcuno che ci fa capire che non è il caso di imboccarla. Arriviamo a Nouakchott, la capitale. Siamo sfiniti. Mangiamo del pollo, dormiamo, ripartiamo. Domani ci attende la frontiera con il Senegal: Rosso, quella che chiamano “l’inferno”.
Lo speciale Rust2Dakar |
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Post: • Episodio 1: Marocco e Mauritania • Episodio 2: Senegal e Guinea Bissau Podcast: Saluti & Baci • Rust 2 Dakar by team 4Africa • Verso Tangeri • Marocco e Mauritania • Le frontiere • Storie di mezzi e di persone • Cap Skirring, ultima tappa! Siti ufficiali: • https://www.rust2dakar.org/ • https://www.tavolo8.org/ |