La Danimarca è una sorpresa, una folgorazione. Di Copenhagen diremo poi (merita un post tutto suo). Qui vagheremo tra la penisola dello Jutland e le isole di Fyn e Møns, tra campi infiniti, dune fuori posto, fari itineranti, mari che si incontrano e altre varie ed eventuali.
Iniziamo da Ebeltoft, rinomata località di villeggiatura sulla costa orientale dello Jutland, destinazione tra le più gettonate dai turisti danesi e limitrofi. Praticamente Rimini in versione nordica, ma senza piadine e vita notturna. Perché sarà pure piena di vacanzieri e camperisti, che di giorno affollano (si fa per dire) le spiagge e le piste ciclabili, ma Ebeltoft dopo le 4 di pomeriggio si svuota, dopo le 5 inizia a essere spettrale, al calar del buio è scenario di un’apocalisse zombie. Noi, con il nostro solito fuso del sud, ci mettiamo qualche giorno a capire che “usciamo a bere una birra dopo cena” qui non funziona. No, la birra semmai te la fai prima di cena, oppure ceni alle 4 come i danesi e allora sì che hai tutta la vita davanti. Crucci da jet lag brassicolo a parte, Ebeltoft – dove facciamo i pet sitter al labrador Knud per una decina di giorni, in una casa nel bosco che è il sogno della vita della grafomane – è bella, molto: dolce nel paesaggio, mite nel clima, con queste spiagge dove c’è spazio per tutti, tanto spazio, altro che il Salento ad agosto, e il mare che se cala il vento è invitante e trasparente – e sì, pure fresco, ma che pretendete a queste latitudini?
Quando ce ne andiamo, lo facciamo a malincuore nonostante Ebeltoft ci abbia dato tutto quello che poteva darci, compreso un concerto degli Aegteskab (ascoltateli, so’ bravi!) e una lunga chiacchierata con un mastro birraio americano che ancora mi sto chiedendo come sia finito ad aprire un locale in Danimarca. Next stop, Aarhus, seconda città della Danimarca, che ricorderemo con amore per il concerto dei Flogging Molly al Voxhall, un locale grande come uno sputo dove la band suona per una platea sudata di vichinghi e punkettoni; e per Your rainbow panorama, l’installazione permanente dell’artista Olafur Eliasson all’ultimo piano del museo ARoS – che, detto male, è una galleria circolare vetrata, con le vetrate dei colori dello spettro. Un luogo dove fare trecentomila foto tutte uguali, tutte bellissime (che poi non riguarderai mai più).
Le città, però, dopo un po’ che noia. Vorremmo fermarci ad Aalborg ma i danesi hanno un problema con Airbnb (una richiesta su due viene ignorata o rifiutata) così tiriamo dritti (ah, en passant: siamo arrivati in moto dall’Italia, ormai le nostre terga hanno forma di sellino) fino a Skagen, sulla punta più settentrionale di questo dito di Paese. Meraviglia, Skagen. Non la cittadina in sé, ma tutto quello che sta lì attorno: Grenen, la spiaggia dove il Mar Baltico e il Mare del Nord di incontrano e litigano, uno con le onde che vanno in un senso, l’altro dalla parte opposta; la Tilsandede Kirke, la chiesa sepolta nella sabbia, che in realtà non è una chiesa ma quel che ne resta, ovvero un campanile bianco tra le dune bianche; e a proposito di dune, quelle mobili di Råbjerg Mile sono una cartolina dal deserto spedita in pieno nord – affascinanti, fuori contesto, un viaggio nel viaggio. Così come affascinante e assurdo è il faro di Rubjerg Knude, costa ovest, dove ci fermiamo sulla strada (lunga) verso Hvide Sande e le “Cold Hawaii”: un faro, Rubjerg Knude, costruito sulla scogliera e poi spostato di 70 metri verso l’interno perché la scogliera si stava erodendo. Oggi sta lì, svettante, un faro in mezzo alle dune, che di faro ormai ha solo l’aspetto – un diversamente faro, insomma. E ci piace anche così.
Cambio di scenario. Lasciato lo Jutland, sgommiamo (eh) sull’isola di Fyn, seconda per dimensioni dopo quella dove c’è Copenhagen. Ci resteremo quel tanto che basta per visitare il castello in stile rinascimentale di Egeskov, uno dei meglio conservati d’Europa. Tutt’ora dimora dei conti Ahlefeldt-Laurvig-Bille, ha dei giardini pazzeschi (in uno mi sono fatta un selfie con una dalia grande come la mia faccia) nonché una collezione sterminata di veicoli di tutte le epoche, auto, moto, biciclette, qualche aereo – ce ne sono così tanti da restare atterriti, alcuni tirati a lucido, altri impolverati come appena usciti dalla cantina di tua nonna, quando pensi di averli visti tutti giri l’angolo e spunta una nuova sala. Applausi ai conti che hanno trasformato casa in una delle attrazioni più fighe della Danimarca.
Fyn ci riserva anche un’ultima chicca, ma questa è per pochi intenditori: un baraccio di quelli male a Svendborg, vicino alla stazione, dove ci beviamo l’ultima birra della sera mentre un tizio che evidentemente è resident singer suona la chitarra e mezzo sbronzo delizia un pubblico di habitués che più habitués non si può. Noi apprezziamo la birra, adoriamo l’atmosfera, ci sdilinquiamo davanti a un bar danese che a mezzanotte è ancora aperto. Il baraccio male si chiama Rasmus, se passate da queste parti e vi interessa il genere bevetevi una birraccia alla nostra salute.
L’ultimo stop prima di Copenhagen lo facciamo a Møns Klint, ovvero le scogliere di Møns (dove, se state a Copenhagen, potere andare in giornata affittando un’auto): bianche scogliere come quelle di Dover, come quelle di Dover calcaree, alte e spettacolari. La spiaggia si guadagna scendendo tanti bei gradini, tutti poi da risalire – tutta salute, e poi ne vale tantissimo la pena. Se il tempo fa schifo, pazienza: a parte che cambia alla velocità della luce, poi anche con i nuvoloni lo scenario ha il suo perché. Come il suo perché ha ogni minuto che trascorreremo a Copenhagen, nostra nuova città del cuore. Ma di questo ne parliamo poi…
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