Lo Sri Lanka è un paese piccolo piccolo, un’Irlanda asiatica che galleggia nell’Oceano Indiano sotto quel colosso che è l’India. Quando partiamo, con ventitré giorni di viaggio davanti a noi (oltre ai due di scalo ad Abu Dhabi), ci chiediamo se non saranno troppi. E la risposta è: no. Primo, perché ventitré giorni di viaggio non sono mai troppi, neanche in Molise. Secondo, perché lo Sri Lanka è sorprendentemente bello, variegato e accogliente. E nonostante il cibo piccante anche a colazione, lo amiamo tanto che ripartire sarà un cruccio. Lo amiamo perché è Asia allo stato puro, caldo e caotico, rumoroso e raffazzonato, pieno di tuk tuk scalcagnati che traballano sulle strade, di bus lanciati come proiettili in corsia di sorpasso, di cani randagi tutti uguali, tutti figli della stessa madre, e di gente che sorride e saluta, che saluta e sorride, di bambini che gridano “Hello” e di signore dell’età di tua nonna che quando sali sull’autobus vorrebbero cederti il posto solo perché sei straniero, e ogni volta devi insistere per non farle alzare. E poi i banchi di frutta sul ciglio della strada, carichi di banane piccole e tozze e di manghi giganti, di papaye grandi come angurie e angurie nane con cui si potrebbe giocare a bocce, di ananas in miniatura e litchis con i tentacoli, di simil-mele dalla scorza coriacea (le wood apple buonissime, se qualcuno te le apre a sciabolate), di cocchi glabri e colossali jackfruit che ogni volta che ne vedi uno su un albero, preghi soltanto che non voglia cadere proprio mentre ci passi sotto. È un’Asia piena di colori, lo Sri Lanka, di colori e profumi e puzze, di frastuoni e silenzi notturni rotti dai versi di animali che non conosciamo. E potrei andare avanti così per ore, a fare elenchi della cornucopia di doni che questo piccolo meraviglioso Paese può offrire. Ma cercherò di darmi un contegno, entrando (finalmente) nel merito del nostro viaggio, che vi raccontiamo non in ordine cronologico ma a blocchi, partendo dalle coste per poi addentrarci (nei prossimi post) nell’entroterra, tra piantagioni di tè e rovine di antiche capitali.
Le coste, dunque: nord, sud, ovest, est, le abbiamo toccate tutte come guidati dalla voce di Max Pezzali. E su ognuna abbiamo respirato un’aria diversa.
– A nord, siamo arrivati fino a Jaffna per poi scendere a Mannar e nella penisola omonima. Sono le zone più toccate dalla guerra civile che ha devastato il Paese dagli Anni 80 fino al 2009. Breve sunto: in Sri Lanka la maggior parte della popolazione è singalese e buddista, a nord invece vive la minoranza Tamil, induista; culture diverse, diversi la religione, la lingua, persino l’alfabeto. I Tamil vorrebbero l’indipendenza e a partire dal 1983 la chiedono con attentati bombaroli suicidi ai quali il Governo risponde sparando a vista e seminando il terrore. Per decenni è il caos, lo Sri Lanka è un girono dell’inferno fratricida dove nessuno è al sicuro. A noi che arriviamo a Jaffna oggi, non bastano certo poche ore per cogliere la portata del dramma, ma l’occhio cade su edifici sventrati che non sono ancora stati ricostruiti, lo sguardo incontra i templi hindu feriti dalle bombe. Basta chiedere, e qualcuno ti dirà del coprifuoco, di quando dopo le 5 non si usciva di casa perché fischiavano i proiettili, di quando se eri Tamil ti sparavano contro perché magari eri un terrorista – magari no, ma le truppe governative preferivano non rischiare. Il nord non è la parte più bella del Paese, per molti turisti resta trascurabile. Noi non avremmo voluto farne a meno.
– La costa sud è tutta un’altra musica, molto più pop, leggera, decisamente facile nelle sue mille declinazioni turistiche a misura di occidentale. Mirissa, Weligama… il regno di chi vuole surfare e fare festa, and nothing else matters. Noi non sgraniamo il rosario delle località balneari, limitandoci a due tappe: Galle, con il suo forte olandese dove il tempo ha un passo diverso, dove le mura sono il confine tra lo Sri Lanka reale, fuori, e quel qualcosa d’altro fatto di vecchi edifici coloniali, lucine e ristoranti eleganti; e Rekawa, paradiso tropicale dove non c’è altro se non la spiaggia e le palme sulla spiaggia. Meravigliosa Rekawa, dove quando cala la notte è tenebra vera, dove alle 10 di sera hai bisogno della pila per tornare a casa dal ristorante dove il tuo era l’unico tavolo occupato. In molti ci vengono a vedere le tartarughe che depongono le uova sulla spiaggia: anche senza, Rekawa è senz’altro la nostra preferita.
– L’est: quello dove non dovevamo andare perché a gennaio potrebbe esserci ancora una coda di stagione di piogge. Non c’è, invece, e allora ci allunghiamo fino a Nilaveli e Upaveli, sopra Trincomalee: assai rustica la prima, più addomesticata la seconda, ci aggradano ma non ci trattengono. A trattenerci ci prova solo un barista sbronzo perso, che all’una del pomeriggio ci tiene una filippica sgangherata sulle bellezze della sua terra. Ma questa è un’altra storia, e possiamo anche soprassedere.
– L’ovest è il mare di Colombo, e con Colombo concludo questa prima carrellata. Colombo brutta e sporca, inquinata da far schifo, che se prendi un tuk tuk muori soffocato nel traffico pazzo dell’ora di punta, quando l’ora di punta è circa ogni ora del giorno. Colombo caotica e sconclusionata, di cui fatichiamo a capirne il verso e la forma, Colombo rumorosa, Colombo colorata di merce esposta nei negozi e nelle bancarelle di Pettah, il quartiere del mercato che ti ubriaca di gente, di carretti, di miasmi di pesce essiccato e olio di frittura. Eppure che bello Galle Face Green all’ora del tramonto, il lungomare che si popola di gente e di venditori di frittelle di pesce tutte uguali, pare un luna park spalmato lungo un paio di chilometri, con l’oceano che lo lambisce e pare così calmo – calmo come sulle altre spiagge non l’avevamo ancora visto. E che belli i giardini nascosti dei locali bene, oasi di pace nel delirio della città, che bella la città vista dall’alto, dai rooftoop degli alberghi dei ricchi. Una prospettiva non esclude l’altra, ogni pezzo fa parte di un puzzle che senza quel pezzo sarebbe incompleto. E chissà quanti altri pezzi ci sono che noi non abbiamo neanche lontanamente avvistato.
CONSIGLI DI LETTURA Se come me amate leggere libri a tema mentre siete in viaggio, non perdetevi Le sette lune di Maali Almeida di Shehan Karunatilaka, vincitore del Booker Prize 2022 e pubblicato in italiano da Fazi Editore. Io l’ho adorato. È un romanzo meraviglioso e rocambolesco che racconta molto dello Sri Lanka della guerra civile (ma non solo). E Maali è uno dei personaggi letterari più simpatici di sempre. |


























