Un viaggio in Uzbekistan lungo l’antica Via della Seta è la nemesi del tanto in voga “off the beaten track”. Primo, perché Samarcanda, Bukhara e Khiva, che della Via della Seta sono le tappe uzbeke da non perdere, sono città moderne, turistiche, dove anche il più imbranato dei viaggiatori troverà tutto quello che gli serve e pure tutto il superfluo, tipo abiti e tuniche faux-ikat* che una volta a casa finiranno in fondo all’armadio con decine di altri capi etnici (*l’ikat è una tecnica di tintura e tessitura tradizionale molto complessa, con la quale si ottengono bellissimi tessuti dalle fantasie geometriche; nel faux-ikat, i disegni sono analoghi, ma vengono stampati – è quindi la versione “povera” dell’originale). Secondo, perché l’Uzbekistan va parecchio di moda ultimamente, dunque non stupitevi se i venditori dei bazar più turistici vi rivolgono la parola in italiano e/o incontrate il vostro vicino di casa. Terzo, e sostanziale, perché la Via della Seta è “the beaten track” per eccellenza, la rotta commerciale più famosa di sempre – l’unica che un tempo collegava l’Asia all’Europa, e per circa quindici secoli è stata battuta da mercanti carichi di spezie e tessuti, di pietre preziose, olii e profumi, di tè, carta e altri lussi e stranezze.
Ma se merci e mercanti erano soltanto in transito, lo splendore delle città sorte sulla loro rotta è ancora lì, intatto e glorioso. Eroico, persino, se si pensa ai decenni di dominazione sovietica che altrove sono riusciti a spazzar via ogni forma di estetica. Non qui. Lungo la Via della Seta, moschee e madrase (le scuole islamiche) splendono imperterrite, lucide di piastrelle blu e azzurre, di ricami d’oro, delle intricate iscrizioni dei calligrafi; i minareti accompagnano tutti gli occhi verso il cielo, i mausolei maestosi negano la morte rendendole allo stesso tempo onore, un decoro dopo l’altro. È un’abbuffata di storia, una sbronza di bellezza, la ballata dell’horror vacui. È una gara tra sovrani che per secoli hanno spremuto architetti e costruttori per fare bella figura, per essere ricordati come i più potenti e munifici e grandiosi, nonché spietati con gli architetti che non li compiacevano abbastanza.
Insomma, è tutto molto bello, sontuoso, splendente. Samarcanda con il suo Registan, la piazza delle tre madrase che s’accende al tramonto, Bukhara con le cupole color sabbia, Khiva racchiusa tra le mura come un gioiello nello scrigno. Restiamo impalati ad ammirare le facciate, scattiamo mille foto tutte uguali, esploriamo gli antri, leggiamo storie e leggende, saliamo scale, cerchiamo panorami e punti di vista. Potremmo restare qui per sempre – ma all’atto pratico, ci facciamo bastare uno/due giorni per ciascuna città, riuscendo con agio a vedere tutto quello che ci interessa senza soccombere al peso della cultura.
E potrei andare avanti per ore a decantare questi luoghi, invece lascerò che a parlare siano le foto dell’ing e mi accontenterò di concludere con una serie di appunti buttati a caso, che potrebbero essere utili ma anche no.
1 – Tashkent, la capitale, è alquanto trascurabile, ma visto che è lì che si atterra, tanto vale farsi un giro. Quello che vale davvero la pena vedere in città è il Bazar Chorsu, il grande mercato locale – sorprendentemente ordinato – dove esaminare tutto il campionario di frutta, verdura e specialità uzbeke. Assaggiate le albicocchine verdi che sembrano olive: sono aspre ma gradevoli, gli uzbeki le mangiano con il sale. E se passate da queste parti all’ora di pranzo, approfittate del Plov Center, dove pare facciano uno dei plov (riso con carne e verdure) migliori del Paese.
2- A proposito di cibo: di tutte le opere d’arte dell’Uzbekistan, la più ammirevole è il pane. Caldo, fragrante, alto come una ciambella a Samarcanda o più basso altrove, sempre di forma circolare, spesso decorato con motivi geometrici, esce dai forni d’argilla e viene venduto un po’ ovunque, in bancarelle e carretti traboccanti. È la prova che bastano pochi centesimi per essere felici.
3 – Di tutte le qualità del popolo uzbeko, la solarità non è quella predominante. A volte si viene trattati con una certa ruvidezza, ma niente di terribile – chiunque sia stato in ferie in Liguria sa che c’è di peggio.
4 – Vige nel Paese una strana forma di sessismo. Alle donne la birra viene spesso servita con la cannuccia, cosa che andrebbe dichiarata illegale e contro la morale.
5 – Occhio ai samsa, specialità da forno di cui gli uzbeki vanno fieri come gli italiani della pizza. Trattasi di un involucro di pasta di pane pieno di carne e/o verdure: buono, eh, ma a noi è capitato di mangiarne alcuni che avevano il peso specifico del piombo e avrebbero sfamato un intero villaggio africano. Insomma, non ordinatelo come antipasto a meno che non abbiate molto appetito. Probabilmente vi sazierà per giorni.
6 – L’ing consiglia la torta San Sebastian, che pur essendo un dolce basco, è molto popolare in Uzbekistan. Trattasi di cheesecake senza base di biscotti, servita in fette giganti da un milione di calorie l’una.
7 – Consigli per gli acquisti: oltre ai tessuti ikat e faux-ikat, vanno fortissimi i coltelli – lavorati a mano, meravigliosamente decorati, sono l’oggetto da riportarsi a casa (se non viaggiate, come noi, con il solo bagaglio a mano).
Consiglio randomico extra: se volate con Azerbaijan Airlines e fare scalo a Baku, prendetevi una giornata per visitare la capitale azera, che è molto graziosa e con un centro storico di tutto rispetto. Noi siamo stati felicissimi di trascorrerci 24 ore tra un volo e l’altro.





