La strada per la fine del mondo è lunga e costeggiata di paesaggi immensi che si trasformano sotto i nostri occhi, oltre il finestrino del bus. Prima le distese patagoniche di erba secca, chilometri e chilometri dove a tratti spuntano una staccionata, una pecora, una fattoria. Chilometri e chilometri di fili gialli che il vento fa danzare all’unisono, increspature liquide di un bacino sconfinato. Poi il mare, che mare non è ma oceano, lago, fiordo, stretto o fiume, poco importa, perché in fondo è tutto mare quel che è acqua, soprattutto quando non se ne vede la fine. Quando arrivano le foreste sono passate ore, moltissime ore dalla partenza – nel mezzo, una traversata in battello sullo stretto di Magellano (che emozione) e un passaggio di frontiera tra Cile e Argentina. Le foreste, dicevamo: alberi di cui prima neanche l’ombra, fitti, verdissimi, un muro tra noi e altra acqua ancora, che – intuiamo – ci seguirà fino a destinazione. Foreste-muro che diventano foreste-a-picco, appese al ciglio della strada, inerpicate lungo i tornanti. Siamo quasi in dirittura d’arrivo, 12 ore a sud di Puerto Natales, quando il passo di Garibaldi, meraviglioso e maestoso, ci toglie quel poco fiato che ancora ci resta.
Quando scendiamo a Ushuaia, la città più a sud del mondo (in realtà ancora più in basso, in territorio cileno, c’è Puerto Williams, ma gli argentini sono stati più bravi con il marketing), ci sentiamo – noi e qualche migliaio di altri turisti – un po’ pionieri. Come tali, viviamo pericolosamente. Giriamo a dedo, in autostop, scarrozzati da arzilli pensionati, madri di famiglia, imprenditori con la tendenza alla loquacità. Ci addentriamo nei boschi, guadiamo ruscelli, sfidiamo il vento alla laguna Esmeralda e i ranger al parco nazionale, dove entriamo dalla parte sbagliata e quindi senza passare dalla biglietteria. Ingolliamo bombe caloriche sotto forma di pizza provolone, empanadas al gusto colesterolo e facturas, paste giganti farcite di dulce de leche che Federico, l’amico argentino che ci ospita, ci offre a colazione.
Farsi prendere dall’entusiasmo è un attimo, soprattutto quando la luce pazzesca delle 8 di sera trasforma la città in una cartolina perfetta, ma Ushuaia è davvero un posto speciale. La vita costa cara, le salite sono ripide e gli inverni bui e ammantati di neve, ma chi ci abita se l’è scelta – un tempo vi sbarcavano gli immigrati, oggi tanti arrivano da Buenos Aires e dal resto dell’Argentina in cerca di tranquillità e un lavoro ben retribuito – e la ama di un amore profondo. Federico, il nostro anfitrione, è qui da 10 anni. Malato di viaggi come noi, ogni tanto si licenzia, disdice l’affitto dell’appartamento e parte per quattro, sei, nove mesi. Poi torna. Perché una volta che hai visto la fine del mondo è difficile andare via, neanche fosse una calamita che ti cattura il cuore per non lasciarlo più.