Chiunque arrivi a Sucre, dicono, finisce per fermarsi più del previsto. Vero: succede anche a noi, sedotti un po’ dall’aria placida di questa capitale che tutto sembra tranne che una capitale, un po’ dalla camera dell’ostello, che in realtà è un mini appartamento e ci fa sentire meno nomadi del solito. In quattro giorni facciamo cose – andiamo al parco dei dinosauri a scoprirne le orme, andiamo al mercato di Tarabuco a comprare sciarpe e foglie di coca, andiamo alla Recoleta a rimirare il tramonto – vediamo gente, apprendiamo vere verità che riassumiamo qui in ordine sparso:
– I boliviani agognano il mare. Non per andare in spiaggia, ma perché sono gli unici sfigati di tutto il Sud America a non avere uno sbocco sull’Oceano. Colpa dei cileni che gliel’hanno fregato più di un secolo fa, nel corso della guerra del Pacifico. Per questo i boliviani 1) odiano i cileni 2) ogni 23 marzo celebrano il dia del mar, per commemorare la terribile perdita con parate militari, sfilate di studenti e cittadini, bande, musici e majorette: uno spettacolo al quale assistiamo per ore, ipnotizzati, rapiti soprattutto dalla beltà di alcuni copricapi alla Cugino It sfoggiati da alcuni corpi.
– Le cholitas (diminutivo di chola, “meticcia”) sono le numero uno. Bombetta in bilico sulla testa, trecce lunghe lunghe, gonne a strati che le fanno sembrare delle enormi teiere, le donne di etnia aymara (una delle 38 presenti in Bolivia) vestono ancora alla maniera tradizionale, affollano i mercati, salgono goffe sui mezzi di trasporto. Sembrano uscite da un quadro del secolo scorso: al primo sguardo già ti trasportano in un’altra dimensione, e per questo le abbiamo ribattezzate “le signore belle”.
– Quanto a junk food, i boliviani non sono secondi a nessuno. Mangiano di tutto, a qualsiasi ora: pollo fritto, patate fritte, patate ripiene fritte, gelatine in bicchiere con la panna montata, gelatine in stick tipo calippo che solgono succhiare rumoreggiando, zupponi tutti i gusti più uno. La pasta, scopriamo, qui prima di essere lessata viene fatta tostare in padella. Un minuto di silenzio.
– L’ingegnere è San Francesco. I cani boliviani lo amano, soprattutto quelli del parco Simon Bolivar, gli si accucciano ai piedi, gli si strusciano addosso, ringhiano a chi si avvicina. Quando ci alziamo dalla panchina per andarcene, ci vengono dietro con nonchalance, mentre qualcuno ci dice che la settimana scorsa hanno sbranato una signora. Per seminare il più tenace, che ci aspetta persino fuori dai negozi, impieghiamo almeno mezz’ora e molta fatica. È soprattutto per non rincontrarlo che, alla fine, ci decidiamo a partire: altre bestie ci aspettano nella foresta Amazzonica.