“Dove andiamo domani è una sorpresa, ti portiamo nella Cambogia vera”. Perfidamente ingegnere e grafomane tacciono la destinazione e Ponie, arrivata la sera prima da Milano, non protesta. Non lo fa nemmeno quando si rende conto – ormai troppo tardi – che passerà la notte su una barca, lei che quasi vomita anche sul materassino gonfiabile con la bassa marea.
Ma Kompong Luong vale bene un po’ di nausea. Sul lago Tonle Sap, a 4 dollari di tuk tuk e qualche chilometro di discarica a cielo aperto dalla trascurabile Krakor, è il villaggio galleggiante più grande del Paese, una follia di edifici-barca tra i quali solo in barca ci si muove. Galleggiano le case in legno dipinte di blu, i vasi di fiori alle finestre e un paio di immancabili amache in veranda. Galleggiano i negozi, stipati di provviste di ogni genere (molte delle quali scadute, come constata l’ing al terzo morso di biscotto posso da consumare preferibilmente entro dicembre 2016). Galleggiano l’officina del fabbro, la panetteria, i ristoranti, la scuola, la pagoda, la fabbrica di ghiaccio, tre guesthouse, persino il benzinaio. Piccole imbarcazioni a remi o a motore si muovono agili sull’acqua: fruttivendoli, macellai e pescivendoli offrono la loro merce casa per casa, una signora prepara noodle istantanei, i bambini si ritrovano come al parco giochi. C’è un traffico pazzesco. Noi lo affrontiamo a bordo della bagnarola che ci affittano alla guesthouse, goffi con i remi come gli stranieri ad arrotolare gli spaghetti. Ci incagliamo, prendiamo dentro le barche parcheggiate, diamo fastidio a tutti. Intanto cantiamo Tu sei il benvenuto nella casa blu e spiamo la vita del villaggio: qualcuno cucina, qualcuno lavora, altri dondolano pigri sulle amache. Madri giovanissime tengono in braccio gli infanti e li invitano a fare ciao con la manina ai tre turisti imbranati. Altri bambini ci gridano Hello divertiti, altri ancora ci sorridono mentre si lavano attingendo secchiate d’acqua direttamente dal lago putrido. Noi pensiamo alla cisterna che abbiamo visto in guesthouse e decidiamo che la doccia magari la facciamo domani a Battambang.
Ceniamo in “veranda”, con due irlandesi e un milione di moscerini. La guesthouse è l’ultima prima delle acque aperte e ogni barca che passa accende il motore a tre metri da noi, prima di sfrecciare via chissà dove. Andranno a dormire prima o poi, ci diciamo. Va bene che è sabato sera, ma non ci risulta che al largo ci sia una discoteca.
La notte è un delirio di frastuoni assortiti. Una volta spento il generatore, che si trova proprio fuori dalle nostre cabine, restiamo in balia di scricchiolii, tramestii, sciabordii. Le travi cigolano, qualcosa picchia ritmicamente sul tetto di lamiera. Non rumori di sottofondo, ma un consistente fracasso, assordante nella semicoscienza del dormiveglia.
Il sole è ancora basso quando ci alziamo, assonnati e pesti. Nella luce del mattino, il villaggio sembra aver ritrovato la pace, ed è, in effetti, bellissimo. “Quando ce ne andiamo?”, chiede Ponie visibilmente nervosa emergendo dalla sua stanza. “Stanotte non ho dormito da sola”, aggiunge per giustificare la fretta improvvisa. Glielo concediamo, non tergiversiamo oltre. Meglio non rischiare che l’enorme ratto che l’ha corteggiata ai piedi del letto torni a reclamare la sua compagnia.
Il Villaggio Galleggiante di Kampong Luong (anche scritto Kompong) si trova qui:
Per raggiungerlo dovete farvi abbandonare a Krakor, a metà strada tra Battambang e Phnom Phen. Da li con un Mototaxi o un Tuk Tuk si arriva al margine del lago , si sceglie a caso una delle 3 zattere BnB , si fa un giro in barca e si sta li fino al giorno dopo.