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Laos/2 – Elefanti
Federica CapozziDecember 19, 2017
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Asia, Destinazioni, Il Viaggio, Sud Est Asiatico

Laos/2 – Elefanti

Gli elefanti non erano previsti. Troppi centri abbiamo visto tra nord della Thailandia e Laos dove i poveri pachidermi venivano offerti al pubblico a guisa di intrattenimento, né più né meno di una zipline o un giro in kayak. L’effetto zoo non ci interessava, dunque avevamo messo in conto di evitare i bestioni.
Mentre giravamo per Luang Prabang in cerca di una moto, però, siamo passati davanti all’ufficio dell’Elephant Conservation Center. La moto non l’abbiamo trovata (non ancora), ma prima di sera avevamo dilapidato in una sola strisciata di Visa il budget dei dieci giorni successivi e prenotato un soggiorno al “santuario e nursery” di Sayaboury, un paesello due ore di bus più a sud.
Ci si è aperto un mondo, ma essendo noi una grafomane, un ingegnere e una pecora di peluche, non Piero Angela, rimandiamo al sito www.elephantconservationcenter.com per maggiori info sull’elefante asiatico, i pericoli che corre in quanto specie a rischio di estinzione e tutti i dettagli sulle attività del centro, dove gli elefanti nati in cattività, e quindi non avvezzi alla vita into the wild, vengono curati, educati alla socialità e osservati a debita distanza dai turisti. Che non li cavalcano, non li nutrono, non fanno loro il bagnetto, ma hanno occasione di imparare tanto, tantissimo, su questi animaloni simpatici e super intelligenti.
Senza pretese di indottrinarvi, dunque, condividiamo nozioni e impressioni a random, frutto della full immersion appena terminata.
– Gli elefanti sono molto simili a noi italiani: mangiano in continuazione (17 ore al giorno), hanno problemi di disoccupazione (molto erano impiegati nel logging, l’industria della deforestazione, che ora è illegale: per questo gli ex operai senza più nulla da fare vengono riciclati nel turismo, finendo a farsi imboccare da orde di bambini isterici) e fanno sempre meno figli, perché molte femmine, fino a ieri elefantesse in carriera, sono ormai troppo vecchie per procreare.
– Ognuno ha il suo carattere, proprio come noi umani. Mae Khoun One, per esempio, la preferita della grafomane perché sua coetanea e malmostosa, è un’ex lavoratrice incallita senza prole, poco propensa alla compagnia. Stare con gli altri non le piace, fatta eccezione per la sua amica Mae Boun Nam, che invece è l’anima della festa: va d’accordo con tutti ed è un’ingorda pazzesca, una di quelle che davanti a un buffet (di tronchi di banano e canna da zucchero) si riempie il piatto e la bocca contemporaneamente, ingozzandosi alla velocità della luce come se tutto il cibo dovesse sparire da un momento all’altro. Poi ci sono la madre che “tu non hai partorito quindi non puoi capire”, che non accetta l’autorità delle più anziane se queste non hanno figli, e la fighetta del gruppo, che non fa il bagno con le altre perché l’acqua del lago non è abbastanza pulita per i suoi gusti. E ancora Mr Suriya, che ha sei anni e tante zie giovani che lo fanno giocare mentre mammà si fa i cavoli suoi.
– Ogni elefante ha il suo mahout, il suo guardiano, di cui riconosce la voce e da cui solo accetta ordini. Questi signori, che si tramandano il mestiere di padre in figlio, sono totalmente devoti all’animale, lo seguono dall’alba fino all’ora di dormire, con poche concessioni alla vita mondana. Per fortuna all’Ecc ogni tanto arriva un gruppo di volontari ventenni che li coinvolge in festini a base di birra on the rocks (ahinoi sì, qui ci mettono il ghiaccio), lao whiskey e Macarena.
– E poi c’è il coté comico della cosa. Perché a un certo punto, mentre te ne stai lì a guardarli masticare uno snack di venti banane o ribaltare con una pedata una pila di pneumatici per scovare una merendina di canna da zucchero (ivi nascosta per stimolare la loro intelligenza e abilità a procacciarsi cibo), ti fermi e ti chiedi come sarebbe se fuori dalla finestra di casa, mentre cuciniamo, ceniamo con gli amici, facciamo la doccia e guardiamo la tv, ci fosse un drappello di elefanti che si dà di gomito commentando le nostre attività. È così che capisci appieno il valore dell’approccio del centro rispetto ai soliti zoo per turisti di massa: meglio un elefante che ti spia, possibilmente in silenzio, di uno che ti entra in casa, arrotola gli spaghetti al posto tuo e alla fine ti si siede sulla pancia mentre ti rilassi sul divano. O no?

www.elephantconservationcenter.com

Dove si trova:


La grafomane con la sua preferita, Mae Khoun One, che ha 38 anni, niente figli e un pessimo carattere, proprio come lei.
Mamma e baby elefante all’Elephant Conservation Center: il piccolo ha due anni, deve ancora imparare a cavarsela da solo.
Bellezze al bagno: le elefantesse amano l’acqua!
La vista dal nostro bungalow: il lago Nam Tien è super scenografico.
Ingegnere e grafomane con i compagni di viaggio che hanno condiviso l’avventura all’Ecc. (Ehi guys, if you read this, thanks so much for your company!).
L’ingegnere si fa un selfie con una delle elefantesse del centro, che guarda in camera perplessa.

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