Quando arrivi a Luang Prabang – per noi amichevolmente Luana – un’entità superiore, sorta di divinità con corpo di Lonley Planet e testa di Trip Advisor, ti consegna un elenco di must-do ai quali non puoi sottrarti. Ligi, non ci siamo sottratti. Ecco come è andata.
Sì, ci siamo svegliati alle 5:30 del mattino per assistere alla processione dei monaci che raccolgono le offerte di cibo e generi di prima necessità. Sì, avrebbe potuto essere molto suggestivo, ma no, non lo è stato. Con noi c’erano decine e decine di turisti assatanati, alcuni con tanto di pila da minatore in testa, pronta a sparare i flash in faccia ai poveri asceti. La cosa più mistica è stata tornarsene a letto e dormire fino alle 10.
Sì, siamo andati alle waterfalls, le cascate dove tutti i tuk tuk si offrono di portarti. E sì, sono oggettivamente una figata. Non proprio deserte, ma il divieto di balneazione nella cascata più grande garantisce la riuscita di foto alla National Geographic. Quattro passi in più e si arriva a una sorgente immersa nel verde, dove chi riesce a raggiungere l’altra sponda camminando in equilibrio su un tronco vince una birra. Va da sé che gli unici ad avere successo nell’impresa sono i bambini, che della birra non se ne fanno niente.
Sì, siamo stati da Utopia, il locale chill out di cui tutti parlano. Bello, bellissimo. Un giardino vista fiume con divani, pouf, cocktail più cari della media e un wifi semi-funzionante che fa in modo che ognuno si possa alienare. Mille volte meglio il Lao Garden, dove per due euro puoi avere i due beveroni più cattivi che tu abbia mai provato e fare amicizia con tutti.
Sì, siamo andati da Big Brother Mouse a chiacchierare con i ragazzi lao che vogliono praticare l’inglese. A parte l’imbarazzo iniziale quando il nostro interlocutore ci ha raccontato di essere triste perché la fidanzata l’aveva appena lasciato, è stata effettivamente un’esperienza interessante e gratificante.
Sì, siamo andati al Night Market, dove un lao non cenerebbe mai ma tutti gli occidentali si accalcano felici di riempirsi il piatto per 1,50 euro. In fondo è stato come andare all’aperitivo sui Navigli, con cibo pessimo e tanta fila, ma più economico. Sapore di casa.
A Luana abbiamo anche trascorso il Natale, mangiando pizza in uno dei ristoranti italiani del centro (era così buona che prima di avere il tempo di fotografarla era già finita), conosciuto nuovi amici, constatato che il mondo è piccolo e il Laos ancora di più. L’ingegnere si è regalato muffin e croissant, la grafomane si è ingozzata di mango, ha comprato l’ennesimo paio di pantaloni e recuperato un paio di scarpe che le erano state rubate nella notte, Montone si è ricongiunto con il suo erede, che viaggia insacchettato in valigia, versione ovina dell’uomo con la Maschera di Ferro, e il 25 è stato graziato con un paio di ore d’aria. Più di ogni altra cosa, a Luana siamo diventati lao anche noi: pigri e indolenti, capaci di fermarci più di cinque minuti nello stesso posto. Una rarità per ogni milanese che si rispetti.
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