Luang Namtha, paradiso del trekking, è troppo lontana, la remota Phongsali è appunto troppo remota, dunque ai villaggi delle minoranze etniche ci andremo un’altra volta. Il tempo stringe, il visto sta per scadere, Milagros Heineken arranca: depenniamo anche il sud, nonostante in tanti ci dicano meraviglie delle 4000 isole sul Mekong. Come ultima tappa prima di salutare il Laos ci resta Phonsavan con la sua Piana delle Giare, sito archeologico punteggiato di urne funerarie risalenti all’età del ferro o, più suggestivamente, di boccali forgiati dai giganti in un’epoca remota.
Ci arriviamo un attimo prima che cominci a piovere, infreddoliti come se avessimo passato il pomeriggio in mutande al reparto surgelati del supermercato. La modesta camera da 7 euro a notte ci sembra la suite del Ritz: niente riscaldamento ma doppio piumone e reception 24h (nel senso che il custode se ne sta 24 ore al giorno sdraiato sul divano dell’ingresso, sotto una coperta, a guardare la Tv).
Il giorno dopo diluvia. Milagros Heineken sfreccia sugli sterrati sollevando fango che non ci toglieremo mai di dosso. Le giare sono belle, sicuramente con il sole lo sarebbero ancora di più. Gettiamo la spugna prima del tempo e ce ne torniamo sotto il piumone, salvo uscire qualche ora dopo per rinnovare il guardaroba dell’ingegnere. Al mercato compriamo un maglione da nonno, un paio di leggings felpati per la grafomane e calzini spessi due dita. Con i nostri poncho neri della Decathlon ci aggiriamo per la città come due grandi campane del vetro. Castello ululì, lupo ululà, ci viene da dire guardandoci da sotto i cappucci. Siamo belli belli in modo assurdo.
Sulla strada principale c’è un hotel con spa, dove ci infiliamo implorando un massaggio. Ingenui, non capiamo che si tratta di un bordello finché due ragazzine truccate da gara non ci conducono in due cubicoli separati e iniziano a colpirci a random sulla schiena, simulando un trattamento che evidentemente per loro è novità assoluta. Mentre la grafomane batte i denti per il freddo e medita la fuga, l’ingegnere si fa arricciare i peli del petto da una signorina in culotte. In reception il magnaccia strilla come al mercato del pesce e le altre ragazze ingannano l’attesa del prossimo cliente con il karaoke. La signorina dell’ing si unisce al coro senza smettere di arricciare.
Così termina, in gloria, la nostra avventura laotiana. Tutto il resto è noia.
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